Don Ivan arcivescovo: è buona notizia

Come gioia improvvisa si è propagata in fretta sulle bocche di noi trentini sabato scorso una notizia finalmente buona, a ridestare fiducia in ore di apprensione per il governo Draghi e la pandemia in risalita. Qualche giorno dopo quella notizia buona ci appare anzi come una “buona notizia”, di stampo evangelico. Infatti, quella del “nostro” don Ivan Maffeis alla guida della Chiesa perugina è la chiamata di un pastore buono, saggio e coraggioso. “Sarà un pastore che avrà l’odore delle pecore”, come assicura il cardinale Gualtiero Bassetti, suo superiore e amico a Roma e suo predecessore a Perugia, sarà un arcivescovo con quell’umiltà che ci colpiva quando alle nostre feste era lui a mettersi a servire in tavola i collaboratori di Vita Trentina.

Papa Francesco, che lo apprezzava alla CEI al punto da chiedergli consiglio anche per i media vaticani, è andato a riprenderlo dopo due anni su per i tornanti della Vallarsa, una periferia che don Ivan ha “visitato” in questi mesi con la stessa dedizione della storica parrocchia di San Marco a Rovereto. E con la predilezione con cui da giovane metteva il grembiule fra i poveri del “Punto d’incontro” del fondatore don Dante Clauser e la costanza con cui da parroco di Ravina andava a celebrare nel vicino campo di Sinti e Rom, prendendosi cura del loro disagio.

Sarà un pastore ispirato dal Vangelo come diceva il suo don Milani “fa’ strada ai poveri senza farti strada”. Attento a fare un passo indietro, a farsi da parte per lasciare il posto a chi ne ha più bisogno. Chi è amico (o parrocchiano o collega) di don Ivan può testimoniare almeno un messaggio di vicinanza, un gesto di squisita attenzione, una scelta di radicale disponibilità. In redazione lo ricordiamo anche nei giorni più impegnativi di Vita Trentina “scomparire” per accompagnare un malato terminale, o per consigliare un amico in un Paese oltre
oceano, o cercare di risolvere i problemi di un papà disoccupato.

Ma nella “buona notizia” dello stile Maffeis, forgiato dai due amati genitori e dai tanti fratelli minori (fra i quali il prediletto era Marco scomparso prematuramente), c’è anche il cercare sempre “la parte migliore”: la pratica anche mattutina e notturna dell’ascolto della Parola e della preghiera, fosse nella cantoria di Romagnano o nella cappella della CEI, nelle aule giudiziarie di Gibuti, dove è andato a “liberare” il missionario don Sandro De Pretis o nei quartieri poveri della Campania dove ha portato il gruppo giovani di Ravina.

Anche l’ottavo vescovo di origine trentina in attività, insomma, reggerà il pastorale come la piccozza è d’aiuto al montanaro. Sa bene, avendo frequentato per dieci anni i confratelli vescovi, quanto il ministero della guida sia prezioso, ma la traccia evangelica lo porterà a restare semplice, anche se autorevole e sapiente, come un altro trentino di periferia – il suo compagno di studi in comunicazione alla Salesiana – fra Francesco Patton, ora Custode di Terra Santa. Lo aiuta la scrittura profonda e colorata, ispirata dalle letture di Erri De Luca e Ryszard Kapuscinski. Col capo spesso reclinato in un atteggiamento anche “fisico” di ascolto, don Ivan punta ad accogliere le ragioni degli altri, con gli “avversari” cerca il dialogo a oltranza.

Ha saputo però anche rimanere fermo (si ricordano alcuni suoi coraggiosi “no” a certe scelte politiche) e privilegia il lavoro di squadra, lo stile sinodale: fare anche meno, ma insieme, come ha imparato in famiglia. Per spirito ecclesiale, come ha spiegato l’arcivescovo Lauro nel dirgli “buon viaggio”, lo vedremo ripartire con la consacrazione episcopale a Perugia, ma qui avremo il tempo in questi mesi per accompagnarlo come lui desidera: con una preghiera e un sms. Da studente sognava la missione, la troverà in terra umbra; da giornalista amava i reportage, a Perugia avrà il mondo da ascoltare; da prete affascinato di Gesù ha sempre gustato il Vangelo, ora continuerà a farsi Buona Notizia per gli altri.

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