10 luglio 2022 ‑ Domenica XV del tempo ordinario C
Letture: Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37.
«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Lc 10,27.
Domenica scorsa il vangelo ci narrava la missione dei 72 discepoli. Ne avevamo sintetizzato i punti fondamentali per poter verificare il nostro essere cristiani, cioè discepoli di Gesù. Abbiamo scoperto così che la dimensione della missione intesa come testimonianza della vita e della parola è qualcosa di “normale” per ogni battezzato. Questa settimana facciamo un passo avanti e scopriamo che la testimonianza va intesa come farsi prossimo.
I protagonisti del brano di questa domenica sono due: Gesù e un dottore della legge. Quest’ultimo pone a Gesù una domanda strana: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (v. 25). La domanda è strana perché è fatta da uno che, di professione, fa il dottore della legge. E il dottore della legge è uno che, di professione, insegna proprio come si fa ad ereditare la vita eterna. Quindi non è una vera domanda ma una specie di esame che vien fatto a Gesù, con quel tono ironico con cui molte volte l’ “esperto” si rivolge al “principiante”.
Gesù a sua volta sceglie di rispondere in modo strano. Sceglie la via dell’approfondimento. Lo fa ponendo lui stesso una domanda: «Che cosa sta scritto nella legge? Come leggi?» (v. 26).
Per un giurista questo è un invito a nozze. Infatti risponde con una formulazione impeccabile, che mette insieme un precetto del Deuteronomio (6,5) e uno del Levitico (19,18): «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27). Gesù allora passa dalla teoria alla pratica: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai» (v. 28). E qui casca l’asino. Il giurista non è più sul suo campo. Non è più nella dimensione astratta della teoria. Deve confrontarsi col fare, con la pratica. Si sente mancare il terreno sotto i piedi e cerca una scappatoia che riporti l’argomento sulla teoria o perlomeno limiti il campo d’azione. Lo fa con un’altra domanda: «E chi è mio prossimo?» (v. 29).
Ancora una volta la risposta di Gesù non è una definizione da vocabolario. È una storia, è la parabola del buon Samaritano, che tutti noi conosciamo.
Gesù conclude la parabola con una domanda: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36). L’altro risponde: «Chi ha avuto compassione di lui» (v. 37). Gesù conclude: «Va’ e anche tu fa’ così» (v. 37).
La prospettiva è ormai rovesciata. La nostra preoccupazione, in quanto cristiani, non è di definire chi dobbiamo amare e chi possiamo tranquillamente ignorare. La nostra preoccupazione è quella di andare incontro alle altre persone, fatte di carne e ossa, con bisogni concreti, una alla volta. Papa Francesco ci ha indicato questa prospettiva nell’enciclica “Fratelli tutti”, dove ha utilizzato la parabola del Buon Samaritano per aiutarci a capire come imparare a diventare fratelli. E per questo dobbiamo educare noi stessi e gli altri a metterci nei panni di chi è ai margini, di chi è “scartato” e fare di tutto perché possa vivere secondo la propria dignità di figlio/a di Dio: “questo incontro misericordioso tra un samaritano e un giudeo è una potente provocazione, che smentisce ogni manipolazione ideologica, affinché allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli interessi meschini” (Papa Francesco, Fratelli tutti, n. 83).
La risposta di Gesù al dottore della legge «Va’ e anche tu fa’ così», naturalmente, è l’imperativo che questa domenica il Maestro rivolge anche a ciascuno/a di noi.
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