Papa Francesco vuole evitare che l’Incontro mondiale delle famiglie a Roma si riduca ad un rito mediatico distante dai problemi delle nostre tavole, condito da testimonianze edificanti, ma inimitabili. Perciò ha chiesto di viverlo nelle Chiese locali – lo faremo a Piné nella sera di venerdì 24 giugno fra le conifere della Comparsa (a pag. 18) – per iniziare a cogliere le “domande nuove” che tante giovani coppie si portano dentro. Prendendo atto che ora il “sogno” del matrimonio non è scontato e che la gran maggioranza degli sposi arriva all’altare dopo una convivenza più o meno lunga (l’80-90% dice il Cisf).
Le cause sono anche sociali: una condizione lavorativa spesso insicura, la precarietà economica che impone scelte “giorno per giorno”, la cultura “liquida” che teme i legami stabili, talvolta anche una chiusura che “brucia” in fretta l’esperienza amorosa, lasciando scottature spesso insanabili.
Quanti riconoscono l’energia gioiosa e generativa dell’amore di coppia – Amoris Laetitia l’ha chiamata papa Francesco – non vogliono però arrendersi ad un generico “così fan tutti”. Avvertono il dovere e la possibilità di ri-annunciare come “cosa buona” l’amore tra uomo e donna (alla luce della Bibbia che fin dal Cantico dei Cantici esalta la donazione reciproca), riuscendo a intercettare il vissuto e le esigenze profonde inscritte nel cuore di tanti ragazzi. A patto di non eludere le loro domande, di saperle ascoltare, come evidenziano non pochi contributi del Cammino sinodale.
Dobbiamo ammettere, raccogliendo l’autocritica che apre Amoris Laetitia, che “spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione. Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete”. “Altre volte – scriveva sei anni fa Francesco – abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario”.
Meno retorica della santità eroica e più concretezza di storie sofferte, nelle quali cui può far breccia comunque una luce di benedizione: lo confermano i percorsi che anche oggi ci regalano nuove e belle famiglie, capaci di “contagiare” tanti coetanei. È la prospettiva che anima anche il recentissimo documento vaticano (“Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”), purtroppo liquidato nei titoli giornalistici con la solita sintesi (”Niente sesso prima del matrimonio”) e stroncato dallo sbrigativo commento di Fedez.
Ci sono invece molte aperture e qualche decisa svolta nel testo in cui Francesco non vede “formule magiche che funzionino automaticamente”, ma piuttosto “un vestito che va cucito su misura per le persone che lo indosseranno”. Prevale la prospettiva della misericordia, il coraggio di cercare qualche strada nuova, andando oltre i “soliti” brevi corsi prematrimoniali per offrire “a chi ci sta” degli itinerari catecumenali (cioè di riscoperta della fede) che possano rendere matura ed efficace la scelta sacramentale.
Ma anche pensando alla maggioranza che “non ci sta” la prospettiva è quella di riuscire a proporre come Chiesa – fin dall’ambiente familiare e anche parrocchiale – una sana educazione alla dimensione affettiva, che aiuti a riconoscere gradualmente il valore della sessualità, la bellezza e insieme la responsabilità dell’unione di coppia. Come ha osservato Stefano Fenaroli su vinonuovo.it si tratta di cogliere la differenza di significato del matrimonio che non è tanto “un’istituzione socio-ecclesiale che interviene ‘dall’esterno’ a dare forma, definizione e (perché no) peculiare stabilità a una realtà altrimenti vaga, debole e indefinita”, ma soprattutto “un’esperienza di fede con la quale i due amanti (ministri del sacramento) riconoscono come la propria storia d’amore sia fondata da sempre in Colui che solo la custodisce e in essa si rivela”.
In questa visione liberante, cristiana e umana, anche i rapporti sessuali “possono trovare il proprio posto all’interno di un orizzonte affettivo ben più ampio e complesso, in cui forse emergere ancor di più nel proprio significato umano e teologico, unico e singolare, di dedizione e accoglienza reciproche degli amanti”. Si chiede un rinnovamento coraggioso, che fa superare l’atteggiamento precettistico sui singoli casi e richiede un investimento sulla formazione delle giovani coppie (“dedichiamo tanto tempo ai futuri preti e ben pochi incontri ai futuri sposi”, dice il documento), coinvolgendo laici preparati insieme al sacerdote.
Serve un accompagnamento non giudicante, fatto di ascolto e di accoglienza nei confronti dei “morosi” (anche se conviventi) e non li abbandona il giorno dopo il matrimonio. Li aspettano infatti i primi disincantati anni di matrimonio, l’apertura alla vita nascente (non sempre facile), le prime crisi coniugali, quando il riferimento ad un percorso avviato insieme ad altri si rivela spesso decisivo. Sono fasi della vita a due in cui domande ancora nuove si affacciano: chiediamoci come evitare che rimangano inespresse e inascoltate.
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