Non amo le generalizzazioni: spesso, più che un modo per semplificare e ricondurre a categorie paradigmatiche, sono pretesto per banalizzare la lettura di situazioni e fenomeni. Prevale in chi esprime valutazioni su categorie e gruppi ampi di persone non l’intento di capire, di portare una lettura critica, di stimolare una riflessione, ma la volontà di esprimere giudizi facili, stigmatizzanti, come fossero verità scientifiche. Parlare di disinteresse dei giovani per il lavoro, per l’impegno in genere, appartiene a questo repertorio di banalità e triti luoghi comuni, che ben conosciamo e che popolano le cosiddette chiacchiere da bar.
L’universo giovanile, come del resto quello delle persone adulte o anziani, è fortunatamente molto più articolato, diversificato, ricco di come certa “sociologia da bar”, appunto, lo rappresenta. Se il denominatore comune è l’età, per il resto tra i giovani troviamo atteggiamenti, sensibilità, comportamenti, interessi che è un po’ acrobatico ricondurre ad un unico cliché. Ci sono persone giovani con interessi molto eterogenei (per fortuna!), impegnate e disimpegnate, coinvolte e meno coinvolte, molto social e poco social, più versatili e più concentrate su qualche specifico interesse, generose o poco disponibili… e si potrebbe continuare all’infinito! Quindi, sentir dire: “I giovani non hanno voglia di fare o di impegnarsi o di lavorare” mi fa un po’ sorridere (e a volte irritare). Mi chiedo quale conoscenza non dei giovani, ma di giovani, con nome e cognome, volto, storie, abbia chi esprime queste presuntuose e paternalistiche considerazioni. Quale conoscenza possieda di ciò che accade intorno a noi, se non vede anche giovani che lavorano, che fanno volontariato o servizio civile, che animano le nostre comunità, che si impegnano per qualche ideale (anche quelli che non sembrano stare molto a cuore di altri cittadini).
Le considerazioni che posso portare in merito al lavoro estivo dei giovani sono legate in particolare all’ambito delle attività animative e socio-educative, ambito che più conosco perché rappresenta il settore di attività della cooperativa sociale Progetto 92 all’interno della quale opero. È certo vero che non sempre è facile trovare nuove leve, persone giovani disponibili per questo tipo di attività, sia nel periodo estivo, sia nel resto dell’anno, ma il lamentarsi generico non aiuta certo a trovare le ragioni di questa difficoltà e men che meno a trovare delle possibili soluzioni.
Innanzitutto, c’è un’innegabile componente demografica (ricordata anche da Stefano Calzà nel suo intervento che offre lo spunto a Vita Trentina): i giovani sono pochi, sempre meno; le persone di 50 anni nella popolazione italiana sono oggi quasi il doppio di quelle di 20 anni e tra 5 anni il dato inizierà a peggiorare ulteriormente in maniera drastica.
Le professioni di cura hanno poca considerazione sociale e di conseguenza scarso appeal! Lo abbiamo scoperto drammaticamente durante la pandemia, ma non vediamo ancora una strategia che dia risposta ad una carenza di persone formate, che rischia di indebolire ulteriormente il nostro sistema sanitario e di welfare, già stressato dall’emergenza e dal progressivo invecchiamento della popolazione. È assolutamente fondamentale rendere più attrattivi per ragazzi e ragazze tutti i percorsi formativi che portano a professioni di cura: sociali e sanitarie. Ciò significa rafforzare e qualificare i corsi, diffonderli territorialmente, per quanto possibile, promuoverli già dai primi anni di scuole superiori, curare orientamento e motivazione, andare oltre certi stereotipi che prospettano queste scelte professionali come “eroiche”, in ciò stesso già rendendole poco desiderabili.
Va poi detto che verso certe attività in ambito sociale e educativo sono state importanti trampolini di lancio le esperienze che molti adolescenti hanno potuto vivere in ambienti formativi come associazioni, oratori, realtà del territorio, dove ci si è potuti gradualmente sperimentare con l’impegno, la collaborazione tra generazioni, le pratiche di animazione e accompagnamento dei più piccoli.
Oggi queste esperienze sono spesso in affanno: associazioni che faticano a trovare ricambio, oratori chiusi o con pochissime attività e presenze, comunità che stanno perdendo sempre più coesione e solidarietà… È colpa dei giovani che non si vogliono impegnare? Io mi chiedo invece se non ci sia un’evidente responsabilità di chi tra noi ha accompagnato con poco cuore e senza passione la crescita di questi ragazzi e di queste ragazze: associazioni non più in grado di rinnovarsi, chiuse nella riproposizione di approcci datati, stanchi, oratori asfittici e incapaci di parlare con i bisogni e le aspettative di ragazzi e ragazze del nostro tempo.
E senza queste esperienze, alle quali la pandemia ha dato un ulteriore, pesante colpo è difficile immaginare un avvicinarsi convinto, consapevole e competente ad esperienze lavorative, anche solo estive, di lavoro in ambito educativo e sociale; e al di là del presunto disinteresse giovanile, un’organizzazione seria non può certo pensare di affidarsi, come purtroppo ancora succede, a ragazzi e ragazze arruolati in qualche maniera e catapultati senza preparazione e coordinamento a gestire gruppi di bambini o attività di supporto a persone con fragilità. Ma anche in questo caso guardo più alla superficialità dell’adulto che all’impreparazione del giovane.
Per offrire un’opportunità di crescita e di esperienza sociale ad adolescenti Progetto 92 concorre quest’estate alla diffusione in Trentino dell’interessante esperienza di “Ci sto? Affare fatica”. Si tratta di un progetto, nato in Veneto e ora in fase di allargamento all’intero territorio nazionale grazie all’iniziativa della cooperativa Adelante di Bassano e della rete delle realtà aderenti, come Progetto 92, a CNCA – Coordinamento nazionale comunità di accoglienza. Grazie a questa proposta, diverse decine di ragazze e ragazzi potranno, in varie zone della nostra provincia, sperimentarsi in esperienze attive di cura dei beni comuni. In collaborazione con amministrazioni comunali piccole e grandi si interverrà su spazi e strutture di uso pubblico per garantire manutenzioni, pulizie, ripristino, riordino, abbellimento. Il tutto su base volontaria: ai partecipanti, come al giovane tutor, sarà riconosciuto l’impegno con un “buono fatica”, cioè un buono acquisto presso esercizi commerciali del territorio. Per saperne di più basta scrivere una e-mail a: segreteria@progetto92.net.
(Michelangelo Marchesi – Cooperativa sociale Progetto 92)
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