È festa ormai da giorni a Cremona, per la storica promozione in Serie A dei grigiorossi della Cremonese, che tornano nel massimo campionato di calcio dopo ben 26 stagioni, culminate quest’anno con un’inaspettata cavalcata trionfale. Un’impresa, visto il rango delle avversarie superate in classifica, che tra i suoi protagonisti conta anche il trentino Luca Ravanelli, da Montevaccino, che dopo anni di gavetta tra C e B, vede finalmente all’orizzonte la gloria della Serie A.
“Meglio di così è dura!”, esclama con contagioso entusiasmo il difensore classe 1997 quando lo raggiungiamo al telefono, nel mezzo di una settimana di festeggiamenti, per congratularci e farci raccontare le sue emozioni.
Ravanelli, che campionato è stato?
Siamo partiti puntando a vincere ogni partita, sapendo di essere la squadra più giovane della Serie B, composta da tanti giovani davvero forti. Siamo partiti subito bene, e abbiamo saputo reagire nel modo migliore alle difficoltà, fino ad arrivare alla promozione diretta, senza dover affrontare l’ostacolo dei playoff, che sono una lotteria, fatta di partite secche in cui bisogna giocare bene ed essere forti, ma avere anche la giusta dose di fortuna.
L’obiettivo però a inizio campionato non era così esplicito…
No, si è definito con il procedere della stagione, perché all’inizio sapevamo che avremmo dovuto affrontare grandi squadre come il Parma, il Monza, il Benevento o il Lecce, che schierano giocatori di categoria anche superiore ed erano praticamente obbligate a vincere. Noi però, forse anche perché non avevamo la loro pressione, siamo rimasti sereni e alla fine l’abbiamo spuntata.
E questa Serie B era piena di grandi giocatori, su tutti Gigi Buffon, monumento del calcio italiano. Come è stato affrontarli?
È stata un’emozione grande ma anche una sfida. Quando abbiamo incontrato il Benevento e mi sono trovato davanti Lapadula me ne sono reso conto. Giocatori come lui sono di un’altra categoria, si vede dai movimenti, dalla capacità di metterti sempre in difficoltà.
Ora Ravanelli sta facendo un pensierino alla prossima Serie A?
Sicuramente. Ci provo da quando ho 5 anni, è un sogno e farò di tutto per rimanere e concretizzarlo. Ho un contratto di ancora 2 anni con la Cremonese, ma dipende da che squadra decideranno di fare. Io penso di iniziare il campionato qui, e poi vedremo, però sono tranquillo.
Per una neopromossa affrontare la serie A con il gruppo che ha vinto la B può essere una marcia in più?
Sì, la Cremonese in questa stagione ha tenuto l’ossatura dell’anno scorso, aggiungendo alcuni giovani forti, quindi penso che anche l’anno prossimo terranno la stessa base, valorizzandola con giocatori di categoria superiore, perché obiettivamente in serie A si va a giocare a Milano, a Roma, e con questa squadra non ce la faremmo mai a salvarci.
Qual è la strada che dal Trentino porta a fare il calciatore ad alti livelli?
È importante il percorso nelle giovanili, per questo spero che Trento e Südtirol possano confermarsi nelle categorie più importanti e costruire delle giovanili valide anche in Trentino. Quando ero piccolo io l’unica realtà di livello in provincia era il Mezzocorona e gli unici di quella generazione che ce l’hanno fatta, oltre a me Zortea, Depaoli e Pinamonti, sono dovuti andare via di casa molto giovani.
Quando è stato il momento in cui hai pensato di potercela fare?
Il primo anno tra i grandi. Giocavo a Padova, in Serie C, e dopo un inizio in cui ho fatto panchina, ho cominciato a giocare e abbiamo vinto il campionato. È lì che ho capito che avrei potuto affermarmi nel professionismo.
Quali sacrifici hai dovuto fare per arrivarci?
Lasciare casa a 14 anni non è mai facile, figuriamoci per uno come me, che viene da un paesino di 500 abitanti, un po’ tutti orsi come sono io ancora oggi. Però sono occasioni che capitano raramente nella vita, e se non si sfruttano quando è il momento poi quello che rimane è il rimpianto.
Tu che dopo le giovanili hai fatto tutta la gavetta, come vedi il calcio italiano, a pochi mesi dalla mancata qualificazione ai Mondiali? I giovani continuano ad essere poco valorizzati?
Nessuno si aspettava questo insuccesso, avendo vinto l’Europeo pochi mesi prima ma non ha senso farne un dramma, anche se per certi versi lo è. Io sono dell’idea che se un ragazzo è forte gioca, che sia italiano o meno, anche se è evidente che in Italia non si punta sui giovani come si dovrebbe. Noi però quest’anno siamo stati l’eccezione, perché abbiamo dimostrato che anche con una squadra giovane si può vincere.
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