“Non è il solito gruppo”, parola di facilitatore

Al Teatro Rosmini l’incontro a ricordo della beata Armida Barelli

“Da quando è partito il Cammino sinodale direi che la gente ha ribaltato le attese dei preti e dei vescovi”. Colpisce nell’intervista di Vita Trentina al cardinal Gualtiero Bassetti questa prima impressione, che ha sorpreso lo stesso presidente dei vescovi italiani, prossimo ormai al congedo dalla CEI. Una constatazione che non riguarda il disagio emerso nei confronti della struttura ecclesiale, ma che coglie nelle persone un effetto positivo, quasi liberatorio, per il fatto di essere state finalmente ascoltate in quest’occasione dalla Chiesa “che spesso non le comprende fino in fondo e – aggiunge Bassetti – spesso non è in grado di poterle aiutare”.

Il presidente della CEI ha evidentemente ragione. A confermare il suo giudizio viene in aiuto un nostro “sondaggio” telefonico fra alcuni facilitatori, quei volontari formati per favorire l’ascolto nei quasi 150 gruppi sinodali avviati nella Diocesi di Trento in questi primi due mesi e mezzo. Nelle loro valutazioni “a caldo” – senza entrare nei contenuti che andranno ripresi quando saranno pubblicate le sintesi – registriamo una convergenza proprio sull’efficacia della modalità inedita con cui il Cammino sinodale è cominciato: la conversazione fraterna e aperta.

Alcuni di loro erano piuttosto scettici (anche qualche sacerdote lo era), ma l’insistenza sullo stile esperienziale e narrativo, favorito dalle due domande- spunto sulla Chiesa, ha ispirato fiducia e disponibilità ad aprirsi nel gruppo: “Non c’era da discutere o da ribattere, ci si poteva raccontare con libertà”, hanno testimoniato molti all’uscita dall’oratorio o dalla sala parrocchiale. “Esatto, non è stato il solito gruppo…” la frase più ricorrente a detta dei facilitatori, determinata da questo tipo di ascolto reciproco, attento, non giudicante, fondato su una stima senza pregiudizi. E finalmente “alla pari”: anche il parrocchiano più “fedele” e quello riconosciuto come esperto hanno atteso pazientemente il loro turno, si sono raccontati “in dialetto”, verrebbe da dire, in modo personale, non teorico, senza far pesare sul gruppo le loro competenze pastorali (e non solo).

Tanto che gli stessi facilitatori – a parte in alcuni casi una comprensibile fatica a far rompere il ghiaccio – sono dovuti intervenire solo per chiedere un certo rispetto dei tempi. Ma, alla fine, tutti o quasi tutti hanno parlato, hanno potuto e voluto far sentire la propria voce e la propria esperienza (anche questo purtroppo non sempre accade nei gruppi). Forse ha pesato anche il fatto che si trattava di un incontro una tantum, a termine, senza incarichi da rispettare nell’appuntamento successivo: ascolto e basta, gratuito. Non a caso risulta che spesso le persone più schiette e più appassionate siano stati proprio i genitori dei ragazzi di catechesi, generalmente meno presenti in parrocchia: questa volta hanno trovato occasione per sentirsi considerati, per “giustificare” le proprie difficoltà, promettendo infine anche qualche disponibilità per il futuro.

Anche molti parroci hanno fatto un passo indietro (al 95 per cento i gruppi hanno avuto come facilitatori laici e laiche), mettendosi sullo stesso piano dei loro fedeli, in una reciprocità non sempre così immediata. Qualcuno, per raccontare com’è cambiato il suo sguardo sulla “madre Chiesa”, è partito dal raccontare la propria vocazione in famiglia o in parrocchia ed il racconto in confidenza è piaciuto per concretezza e umanità. E alcuni fra i più tiepidi, quelli che che temevano che il gruppo sinodale avrebbe ottenuto l’accoglienza dell’ennesimo questionario di verifica pastorale, si sono dovuti ricredere. Anzi, ora vogliono sperare che lo stesso entusiasmo rimanga anche per i momenti in cui gli spunti critici emersi diventeranno materiale di confronto per affrontare questo cambiamento d’epoca, per trovare linguaggi nuovi, per innescare relazioni I facilitatori trentini ammettono di non aver visto finora nei loro gruppi molte persone distanti e indifferenti alla vita ecclesiale e osservano che non è poi così facile “invitare” ad un confronto sinodale.

Eppure rilevano che la buona “prova” di quanti vi hanno preso parte occasionalmente e non fanno parte di gruppi già strutturati potrebbe funzionare da passaparola. Così da arrivare nelle prossime settimane, fino a fine giugno, a moltiplicare i gruppi (un po’ come avviene nelle “dimostrazioni” domestiche di elettrodomestici o prodotti per la casa) e raccogliere nuovi apporti sinodali. “Per la prima volta mi sono sentito ascoltato dalla Chiesa”. Ecco un’altra delle frasi di riconoscenza raccolte dai facilitatori che sottolineano come davvero la realtà ecclesiale si stia scoprendo in questi incontri “in debito di ascolto” e debba rivelare un proprio volto più accogliente e informale.

Se doveva essere conversazione “spirituale”, forse un primo soffio dello Spirito va proprio a indicare questo metodo sinodale “gustato” da almeno 1500 persone suddivise in gruppetti da 6-8 persone al massimo. Un patrimonio d’esperienza da non archiviare come occasionale e irripetibile: a farlo diventare uno stile – pur con tutti i limiti dei poveri uomini – ci aiuteranno forse i prossimi passi del Cammino sinodale.

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