Stridente il contrasto fra le due celebrazioni del 9 maggio. Da una parte, quella di Vladimir Putin sulla Piazza Rossa per ricordare la vittoria 77 anni fa contro il nazismo di Adolf Hitler. Dall’altra, nell’emiciclo del Parlamento europeo di Strasburgo per i 72 anni del discorso di Robert Schumann che diede vita alla prima Comunità europea, quella del Carbone e dell’Acciaio (Ceca). Due messaggi radicalmente diversi.
Il Presidente russo ha potuto offrire ai propri cittadini una imponente parata militare con sfoggio di armi sempre più letali, accompagnata da un imbarazzato discorso sulle ragioni della guerra contro l’Ucraina, che si riassumono nel timore di un’invasione da parte della Nato. Interpretazione delirante che non riflette la realtà, ma che sembra sufficiente a tranquillizzare il proprio establishment e un’opinione pubblica ancora influenzata dalla propaganda a senso unico del Cremlino. A Strasburgo, al contrario, ci si è occupati dei progetti per rendere più efficace e soprattutto più democratica l’Unione europea, quale storico progetto voluto dalle classi politiche dell’epoca, proprio per eliminare la guerra dal suolo europeo. Insomma, da una parte un messaggio di violenza e di lotta per la supremazia in Europa sulla base del quale è stata riportata la guerra nel cuore del continente.
Dall’altra, la volontà di accrescere ancora di più l’integrazione europea come modello di pacificazione fra gli stati e di rafforzamento della democrazia, in un momento in cui essa è minacciata dalla crescita delle autocrazie in Europa e nel mondo. Niente di più lontano, quindi, fra i due modi di affrontare le crisi e le contese che inevitabilmente possono nascere fra gli stati. L’Ucraina ne è il chiaro esempio. I contrasti fra Mosca e Kyiv sul Donbass e la Crimea potevano essere risolti in altri modi, purché ci fosse la volontà politica da parte di tutti, Ue e Nato compresi, di mettersi intorno ad un tavolo e negoziare seriamente.
Per 7 anni, dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca, è in effetti esistito un gruppo di paesi, composto da Russia, Ucraina, Francia e Germania con il compito di rendere applicabile l’accordo, detto di Mink, raggiunto nel 2015 per trovare una soluzione definitiva sulle zone contese. Per malafede o disinteresse delle parti, l’accordo non è mai stato messo in pratica. Putin ha quindi deciso di passare alla guerra. Oggi è necessario ricominciare da zero. Da Strasburgo è partito un forte messaggio in questa direzione. Il Presidente francese Emmanuel Macron, che è anche presidente di turno del Consiglio dell’Unione, ha sottolineato che l’UE aiuta con convinzione Kyiv, ma non si sente in guerra con la Russia.
Un atteggiamento che Macron ha tenuto fin dall’inizio della crisi, come testimoniano i suoi numerosi viaggi a Mosca e le lunghe telefonate a Putin in tutto questo lungo periodo di guerra. Ma per dare maggiore forza a questa sua dichiarazione a nome dei 27, la riunione al Parlamento europeo è servita anche per fornire una seconda indicazione. La volontà dell’UE di rafforzare la propria coesione politica e il proprio ruolo di attore indispensabile in un futuro tavolo dei negoziati assieme ad Ucraina e Russia.
Un impegno che bene si è sposato con la programmata, solenne chiusura al Parlamento europeo della Conferenza sul Futuro dell’Europa, lanciata dallo stesso Macron alcuni anni fa e giunta a compimento proprio il 9 maggio. Una Conferenza che ha visto la partecipazione di singoli cittadini scelti a sorte nei 27 stati membri e di rappresentanti di tutte le istituzioni europee e dei parlamenti nazionali. Un esercizio di democrazia che si contrappone al modello autocratico, per non dire dittatoriale, che si è imposto in Russia.
Esercizio che serve a sottolineare come l’UE debba trasformarsi in un baluardo contro lo scivolamento di tanti paesi, fra cui anche alcuni europei come l’Ungheria, verso sistemi di governo più simili a Mosca che a Bruxelles. Per di più, un possibile, futuro rafforzamento dell’integrazione europea può portare a quell’autonomia strategica da lungo tempo predicata da Macron, che dovrebbe permetterci di confrontarci sia con Mosca che con Washington sui modi e gli strumenti con cui cercare di mantenere uno stato di pace in Europa. Se con Putin il problema più immediato è quello di portarlo ad un cessate il fuoco, con Joe Biden la questione è più delicata.
Biden è ovviamente un sostegno indispensabile per cercare di contenere l’aggressione russa, ma i suoi metodi, anche verbali, non sempre si adeguano alle sensibilità europee. Il fatto fondamentale da tenere presente è che la Russia è ai nostri confini e con la Russia, volenti o nolenti, dobbiamo dialogare. Perciò ne nasce davvero un’esigenza di autonomia strategica dell’UE, autonomia che ancora oggi non esiste, ma che va certamente costruita. Nel frattempo è necessario discutere apertamente con l’alleato americano i modi migliori per affrontare Putin per portarlo ad un possibile tavolo negoziale. Le difficoltà che lo zar del Cremlino trova sul terreno militare possono aiutare a fare maturare questa prospettiva, a patto che l’Unione rimanga unita.
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