Chi ha paura dei giornalisti? Chi ha paura di un’informazione libera da condizionamenti (economici, politici…)? Chi non vuole riconoscere la funzione, un tempo non messa in discussione, di mediazione del lavoro giornalistico? Sono le provocatorie domande poste nel corso dell’incontro on line promosso mercoledì 11 maggio da Obct – Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa del Centro per la cooperazione internazionale di Trento, in collaborazione con il corso di alta formazione FNSI-UniPD “Raccontare la verità”, per discutere le conclusioni del rapporto redatto dal consorzio Media Freedom Rapid Response (Mfrr), al termine della missione di tre giorni in Italia, dal 4 al 6 aprile scorsi. Un’occasione di confronto schietto e concreto sulle prospettive della libertà di stampa in Italia, e in particolare sugli sviluppi legislativi e sulle misure concrete di protezione degli operatori dell’informazione, che ha coinvolto giornalisti italiani e stranieri, sindacalisti, freelance e studiosi.
Il rapporto sottolinea il bisogno urgente di un’azione concreta da parte delle autorità italiane, sia sotto il profilo specifico delle minacce legali sia sotto quello più generico della sicurezza dei giornalisti.
La missione ha identificato diverse buone prassi e non pochi sviluppi positivi che attestano una certa consapevolezza del problema e indicano possibili direzioni per una risoluzione. Ma se si vuole che ai giornalisti italiani venga garantito un contesto lavorativo effettivamente libero e sicuro, è necessario che si faccia molto di più.
Un esempio positivo, citato dal rapporto, è il Centro di Coordinamento sugli atti intimidatori ai danni dei giornalisti, che ha permesso a giornalisti e autorità di collaborare per contrastare le minacce e altre forme di molestie e intimidazioni subite dai giornalisti, migliorando il rapporto tra giornalisti, rappresentanze di categoria e forze dell’ordine. è una realtà, sottolinea il rapporto, che contribuisce ad applicare in Italia la Raccomandazione della Commissione Europea sulla sicurezza dei giornalisti.
Ma ora è tempo di superare le divergenze politiche e di andare oltre il mero monitoraggio e la semplice analisi, per passare ad azioni più concrete per affrontare radicalmente i due problemi che più toccano i giornalisti in Italia, minando profondamente il giornalismo critico e la libertà di stampa: violenza, intimidazioni e altre minacce da parte del crimine organizzato, da un lato (Ricardo Gutierrez del sindacato europeo dei giornalisti, ha ricordato che l’Italia, dove ci sono 25 giornalisti sotto scorta, per numero di attacchi ai giornalisti segnalati alla piattaforma Mapping Media Freedom di Mfrr è subito dopo la Turchia); dall’altro minacce di tipo legale come le cosiddette “querele bavaglio” e altre cause legali pretestuose, una “spada di Damocle” che incombe sulla vita personale e professionale del giornalista: una riforma complessiva delle norme sulla diffamazione, conclude il rapporto, non è più rinviabile.
“L’annunciata direttiva europea sulla libertà di informazione deve prendere forma prima possibile e diventare vincolante per gli Stati membri, così da poter intervenire su alcune criticità, come le querele bavaglio”, ha auspicato Raffaele Lorusso, presidente della FNSI, il sindacato dei giornalisti italiani. Questioni, ha ricordato, che “nel Parlamento italiano non vengono affrontate, perché non c’è la volontà politica di farlo. L’auspicio è che i risultati di questa missione in Italia del consorzio Media Freedom Rapide Response possano sollecitare le istituzioni europee e che poi gli Stati nazionali recepiscano in tempi rapidi queste norme”. Lo stesso intergruppo parlamentare, recentemente costituito tra parlamentari giornalisti di diverse forze, che si occupa di informazione, media e giornalismo, incontrando ad aprile la delegazione di Mfrr ha ammesso il ritardo del Parlamento nel rispondere ai richiami della Corte costituzionale sull’abolizione del carcere nei casi meno gravi di diffamazione a mezzo stampa.
Anche Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ha denunciato lo scarso interesse del Parlamento ad affrontare temi che riguardano la salvaguardia della democrazia e stigmatizzato le lentezze dell’amministrazione della giustizia “che aggrava il contesto in cui lavorano decine di migliaia di colleghi giornalisti”.
Il precariato nella professione, la mancanza di condizioni di lavoro adeguate, l’impossibilità per molti giornalisti non professionisti (la stragrande maggioranza) di vedere riconosciuto il diritto al segreto professionale, l’insofferenza generalizzata – della politica, ma non solo – verso i giornalisti sono altri ostacoli, è stato detto, all’esercizio libero della professione giornalistica. È stata approvata una legge sull’equo compenso del lavoro giornalistico, ma manca il regolamento e rimane lettera morta, ha ricordato in proposito Claudio Silvestri, segretario del Sindacato Unitario Giornalisti della Campania, che ha richiamato anche l’impegno del sindacato al fianco dei cronisti minacciati o vittime di querele bavaglio.
Al confronto, moderato da Paola Rosà, dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, partner italiano del consorzio Mfrr sostenuto dalla Commissione Europea, hanno contribuito anche – con cenni, tra l’altro, al tema delle Slapp (così sono definite in Europa le “querele bavaglio”) e al lavoro dell’Osservatorio sulle minacce ai cronisti istituito dal Viminale con Fnsi e Ordine dei Giornalisti – Roberta Taveri di Articolo 19, Laurens Hueting di Ecpmf e Ricardo Gutiérrez, segretario generale della Efj, che hanno ripercorso le tappe della missione, nel corso della quale i rappresentanti del consorzio hanno incontrato, fra gli altri, un giudice della Corte Costituzionale, parlamentari, giornalisti sotto scorta, vittime di querele bavaglio, funzionari della Polizia e del ministero dell’Interno. “È emerso chiaramente che l’Italia non è un Paese sicuro per i giornalisti per via delle tante minacce agli operatori dei media, ha denunciato Gutiérrez, che si è anche detto stupito della mancanza di azione del legislatore italiano sul tema della diffamazione.
In conclusione, Anna-Kaisa Itkonen, funzionaria della Commissione Europea che si occupa di stato di diritto e di libertà dei media presso il Segretariato Generale, ha richiamato quanto la Commissione europea sta portando avanti per garantire libertà e pluralismo dell’informazione in Europa e per mettere i giornalisti in condizione di svolgere il loro lavoro, senza influenze esterne: dalla proposta di direttiva Anti-Slapp al Media Freedom Act. “Per la Commissione l’informazione è un bene comune, le aziende dei media non possono essere considerate alla stregua di qualsiasi altra azienda”, ha affermato, richiamando il pacchetto di misure anti querele temerarie e le misure relative al mercato dei media europeo, che si tradurranno a breve in Raccomandazioni della Commissione europea agli Stati membri.
“Promuoveremo anche azioni per sensibilizzare la popolazione sulle questioni che abbiamo discusso oggi, perché è fondamentale che le Raccomandazioni vengano tradotte in provvedimenti legislativi negli Stati membri: e per raggiungere questo obiettivo è importante l’azione della società civile”.
La Commissione dovrebbe presentare una legge europea sulla libertà dei media nel 2022, volta a salvaguardare l’indipendenza e il pluralismo dei media.
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