A destra come a sinistra la politica non ha pace

La prima pagina del quotidiano il Resto del Carlino di martedì 10 maggio

La situazione della politica italiana non trova alcuna stabilizzazione. Nel centrodestra continuano gli scarti di Salvini che salta da un argomento all’altro alla ricerca di successi che non trova. Incombe su di lui l’esito sfavorevole dei referendum il prossimo 12 giugno, con una campagna che non decolla e un’attenzione dell’opinione pubblica molto scarsa. Del resto non sembra che con la campagna elettorale delle amministrative gli vada particolarmente bene. Sebbene la guerra abbia il monopolio dell’informazione e di conseguenza non si sappia molto di quel che succede sui territori non c’è aria di grandi successi per un centrodestra che rimane abbastanza disunito.

La campagna contro l’invio di armi in Ucraina salda la Lega con i Cinque Stelle nell’operazione di indebolire Draghi: non esattamente una iniziativa da statisti. A chiedere che si arrivi alla pace siamo tutti d’accordo, ma quella non si raggiunge perché la si chiede. Ci sono condizioni oggettive che possono renderla possibile, la prima delle quali è convincere l’aggressore, cioè Putin, che ha sbagliato a puntare sul colpo di mano e questo difficilmente avverrà per via negoziale finché può avere una speranza di vincere sul campo. Purtroppo il realismo ci impone di tenerne conto.

Il desiderio, più che comprensibile, di allontanare lo spettro delle conseguenze di una lunga guerra in territorio europeo porta una quota consistente dell’opinione pubblica a credere che ci si possa “tirare fuori” da queste contingenze. Che lo si faccia rincorrendo utopie o demagogie è alla fine indifferente. Così Conte pensa di rivalersi del tonfo della sua seconda esperienza di governo rilanciando vari tipi di populismo, a partire da quello del pacifismo alla buona per finire a quello sugli inceneritori. Se gli porterà fortuna elettorale lo vedremo già nelle amministrative, sebbene il vero gioco sarà nelle elezioni politiche.

Intanto vacilla il cosiddetto “campo largo”, cioè l’ammucchiata a sinistra. Letta sembra tornato oscillante dopo una fase in cui aveva condiviso l’impostazione di Draghi sulla politica estera. Adesso si mostra più cauto, anche lui per compiacere dei turbamenti che registra fra le sue fila, ma è singolare che non si riesca ad impostare un discorso di verità: l’Italia non ha possibilità di “guidare la danza”, deve piuttosto lavorare per non essere travolta dagli eventi in corso.

La situazione infatti non è brillante sul piano economico, come mostra la crescita dello spread e le tensioni nelle borse internazionali. Più che mai in queste condizioni avremmo bisogno di un incremento della coesione nazionale per poter contare su un sistema di solidarietà internazionali all’interno del quale continuare ad agire. È quanto sta cercando di fare Draghi con la sua missione a Washington e pazienza se questo scatena il riaffiorare di un antico antiamericanismo.

Qualcuno dovrebbe pur tenere conto della delicatezza del quadro internazionale, certo innescata dalla guerra in Ucraina, ma non limitata ad essa. L’Unione Europea è in difficoltà a gestire questa nuova emergenza che comunque mette su di essa nuovi oneri anche economici, il che non potrà che riflettersi sulla gestione dei fondi che finanziano il nostro PNRR (che, diciamolo davvero fra parentesi, non è che stia procedendo in modo splendido).

Come si è visto dopo le prese di posizione di Draghi e di Macron davanti al parlamento di Strasburgo, sta venendo avanti la necessità di ristrutturare il sistema di governo della UE, ma subito tredici paesi si sono messi apertamente di traverso e altri lo fanno in modo coperto. A prescindere dallo specifico tema oggetto del contendere ciò significa avere tensioni nel Consiglio Europeo, il quale, vorremmo lo si ricordasse, può intervenire sulla gestione che i singoli Stati beneficiari faranno dei fondi del recovery. Non saremmo certi che un’Italia attanagliata in lotte politiche e di fazione non si trovasse in posizione difficile, non fosse altro perché poi gran parte di quei fondi sono debito che ci mettiamo sulle spalle con la conseguenza che se i creditori anche solo indeboliscono la loro fiducia verso di noi finiamo in sensibili problemi sul mercato finanziario internazionale.

Per chi fa analisi politica è sempre faticoso svolgere ragionamenti che sembrano non tenere conto del valore dei buoni sentimenti, eppure si dovrebbe ricordare che anche quelli lastricano le vie dell’inferno se rimangono parole che non possono incidere su sistemi molto complessi, la cui crisi sarebbe poi pagata dai deboli.

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