I tempi sono difficili, ma Draghi rimane un premier che i problemi li affronta senza perdere tempo in sceneggiate. La (relativamente) piccola manovra varata lunedì dal governo rientra in quella filosofia. Dopo tante sceneggiate sulla necessità di uno “scostamento di bilancio” (cioè fare nuovo debito), Draghi ha invece tirato fuori dalle pieghe del bilancio 14 miliardi per affrontare i contraccolpi di una situazione che tocca soprattutto le fasce più deboli della popolazione, ma per certi aspetti tutte: sul secondo fronte ha allungato l’intervento per tenere sotto controllo i prezzi della benzina e del diesel (evitando corse speculative), sul primo ha dato un bonus di 200 euro a chi guadagna fino a 35 mila euro (lordi) l’anno, cioè a metà degli italiani, nonché è intervenuto per aiutare in altro modo, soprattutto sul caro bollette, le famiglie economicamente più deboli. Significa sostenere i consumi, che rimangono un elemento importante per evitare la recessione.
Naturalmente il decreto è come sempre una occasione per intervenire su più fronti, non a caso sono 50 articoli. Per esempio dà un nuovo aiuto a superare le lungaggini burocratiche, che sono spesso l’alibi per volontà di non fare nulla, in materia di energie rinnovabili. In questo campo rientrano anche i poteri speciali per il sindaco di Roma che potrà finalmente varare l’inceneritore dei rifiuti. La norma ha fatto arrabbiare i Cinque Stelle che non sanno staccarsi dai loro mantra senza fondamento, ma Draghi ha giustamente tirato dritto.
Politicamente siamo sempre al confronto chiave fra il partito del fare e quello (quelli) del chiacchierare. Il premier ha per esempio tagliato le ali a coloro che tuonavano che senza lo scostamento di bilancio non si poteva fare nulla (dai sindacati al centrodestra). I soldi li ha trovati nelle pieghe del bilancio, una volta di più, ma questo, diciamocelo, dimostra che nelle finanze statali sono iscritte spese ed uscite che si possono benissimo ridimensionare, soprattutto perché non di rado corrispondono a stanziamenti che poi non si spendono. Questo dovrebbe invogliare ad una seria discussione sul metodo di stesura dei bilanci del settore pubblico, incluso il problema non secondario della finanza dei vari governi locali.
Draghi ha insistito che questo è il modo di operare di un governo che è nato per risolvere problemi e che così farà sino alla sua scadenza che ha prospettato a fine legislatura. Ciò era obbligato, ma che sarà davvero così resta da vedere. Alcuni partiti non smettono di cercare la scena a tutti i costi. Il partito della Meloni lo fa essendo all’opposizione, ma per il suo far parte del blocco di centrodestra è una sfida al governo sostenuto da Lega e FI. Per la verità Salvini non cessa di cercare ogni occasione per farsi vedere. L’ultima sembra sia un progettato viaggio da Putin, il che sembrerebbe una barzelletta, perché non si vede davvero cosa possa concedere il leader russo al segretario della Lega, dopo che ha mandato al diavolo Macron, Scholz, Guterres, il cancelliere austriaco, solo per ricordare i maggiori. Potrebbe solo accadere che Putin giusto per fare confusione usasse l’occasione per mettere in difficoltà la politica del governo italiano: il che per Salvini sarebbe davvero un gran risultato.
Lo scoglio non secondario è Giuseppe Conte, che al momento è il capo del partito di maggioranza relativa in parlamento, ma che al tempo stesso è il vertice di un movimento che vede franare costantemente i suoi consensi. La strategia scelta per blindare quelli che gli sono rimasti (meno della metà di quanto aveva nel 2018 secondo i sondaggi) è il rilancio della demagogia grillina: non per caso il comico fondatore è stato richiamato in servizio. I Cinque Stelle creano continuamente problemi al governo, vuoi sulla politica estera con lo sbandieramento di un pacifismo a vanvera, vuoi sulla politica energetica, colla riproposizione dei vecchi no a prescindere, iniziando da quello agli inceneritori.
Il risultato è una politica ambigua e furbetta: da un lato proclami a sganciarsi dal “campo largo” lettiano con recentissima apertura all’introduzione di un sistema elettorale proporzionale, dal lato opposto mantenimento dell’alleanza col PD nelle competizioni amministrative, perché altrimenti verrebbero davvero ridotti localmente ai minimi termini.
Draghi tira diritto puntando giustamente sulla politica della concretezza, ma ogni giorno che passa i suoi margini di manovra si assottigliano. Certamente il susseguirsi di emergenze di varia natura sconsiglierebbe di promuovere crisi, ma ci vorrebbe nei partiti una razionalità politica che in molti sembra proprio ridotta al lumicino.
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