Qualche buona notizia sembra ancora esserci. Il risultato elettorale in Francia, che ha riconfermato Emmanuel Macron alla guida del Paese, è una di queste. Anche se ad un livello inferiore, nello stesso giorno la sconfitta elettorale in Slovenia del populista Janez Jansa si colloca nel novero degli eventi positivi per l’Unione europea. Dopo il duplice successo, un mese fa, di due personaggi dichiaratamente sovranisti e populisti come Viktor Orbàn in Ungheria e Aleksanadar Vulcic in Serbia ci si chiedeva con preoccupazione come mai due governi filo-putiniani venivano ancora premiati dal loro elettorato. Un pessimo segnale per l’Europa occidentale impegnata a dare una risposta unitaria all’aggressione militare della Russia in Ucraina. Un’Europa che a causa della guerra sta subendo un profondo rimescolamento degli equilibri politici e di sicurezza fra Est ed Ovest.
Il timore, quindi, che questo vento favorevole all’autocrate di Mosca spirasse anche sulle successive elezioni in Francia non era per nulla campato in aria. Ben comprendendo che una vittoria di Marine Le Pen non sarebbe stata solo la vittoria di una destra francese strettamente legata a Mosca, ma una vera vittoria per Vladimir Putin, che fra i suoi vari obiettivi ha quello di dividere e possibilmente distruggere l’Unione europea.
Vale la pena, infatti, ricordare che la guerra della Russia contro l’Ucraina inizia già nell’inverno del 2013, allorquando la rivoluzione di Piazza Maidan a Kiev obbligò il presidente filo-russo Viktor Yanukovych ad abbandonare il potere. La ragione della rivolta contro Yanukovych era stata il suo rifiuto di accettare il trattato di associazione all’UE fortemente voluto dai cittadini ucraini. La risposta di Putin fu la prima aggressione nel Donbass e l’annessione della Crimea nel 2014.
E’ quindi proprio l’UE uno degli ostacoli che Putin vede nella sua strategia di allargamento dell’influenza di Mosca nei territori dell’ex-Unione Sovietica.
Perdere oggi a Parigi sarebbe quindi stato un colpo mortale per il futuro dell’Unione. Accantonato per il momento tale rischio, il compito per Emmanuel Macron non sarà per nulla semplice. Innanzitutto la sua vittoria non è stata così schiacciante come cinque anni fa. Il 42% raggiunto dalla Le Pen è il massimo che la destra francese abbia mai raggiunto in tutte le ultime competizioni presidenziali. Ciò significa che, al di là dei legami con Putin, i suoi elettori esprimono anche un’idea di società radicalmente contraria a quella proposta da Macron. Per di più, sulla sinistra si è affermato al primo turno Jean-Luc Mélenchon con un sonante 22%.
Questi due grandi raggruppamenti daranno quindi del filo da torcere a Macron nelle elezioni parlamentari di giugno: sarà un’impresa per il rieletto presidente riuscire ad assicurarsi una confortevole maggioranza nell’Assemblea nazionale. è vero infatti che la Francia è una repubblica presidenziale, ma le leggi alla fine passano per il parlamento e una maggioranza anti-presidenziale può rendere difficile la governabilità del Paese. Questione davvero non secondaria, anche perché Macron dovrà affrontare un’agenda particolarmente impegnativa, non solo in Francia per combattere inflazione, recessione economica e problemi sociali, ma anche sul piano europeo e internazionale. Innanzitutto c’è la guerra nel cuore dell’Europa.
La previsione è che essa sarà destinata a durare molto e che continuerà ad essere la Nato (cioè gli americani) a mantenere la guida delle azioni europee. Già si sono manifestate preoccupazioni da parte francese, e non solo, sul modo di condurre il confronto con Putin da parte di Joe Biden. Da parte europea si intende lasciare aperta la via ad un negoziato con Mosca, cosa che non sembra così evidente nel modo di operare della Casa Bianca. E poi, quanto durerà l’impegno americano? C’è sempre la Cina nel mirino di Joe Biden ed una crisi su Taiwan potrebbe trascinare lontano Washington.
Di qui l’urgenza per Macron di portare a compimento il suo discorso sull’autonomia strategica dell’UE e cioè sulla difesa comune. Ma per ottenere ciò ha bisogno della Germania, che nel frattempo ha deciso di riarmarsi sul piano nazionale. Parigi non può quindi perdere di vista Berlino. Deve trovare un buon compromesso per costruire assieme una difesa europea. L’Italia potrà forse dare una mano in questa direzione. C’è il Trattato del Quirinale a sostenerci in un più forte legame con Parigi. Dopo la Brexit, Roma può davvero aspirare ad essere il terzo elemento di un trio europeo, assieme a Francia e Germania, capace di prendere la guida di questo processo. Il guaio è che le nostre elezioni nazionali sono dietro l’angolo e nessuno sa che Italia avremo. Di qui un altro motivo di urgenza ad agire per Emmanuel Macron.
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