La guerra della Russia contro l’Ucraina sta creando un radicale sconvolgimento geopolitico. Si ritorna alla politica Bismarkiana del confronto fra le potenze, a scapito di un ordine multilaterale ormai collassato. Non inganni, infatti, il massiccio voto dell’Assemblea dell’Onu contro l’aggressione russa. A muovere le Nazioni Unite può essere solo un voto nel Consiglio di sicurezza, dove la Russia ha diritto di veto. Quindi nessuna possibilità di negoziato da parte della massima autorità globale. Solo un messaggio politico.
Cambia quindi lo scenario a livello di singoli paesi, obbligati a contrastare ciascuno per proprio conto l’espansionismo russo. Il caso più eclatante in questa direzione è certamente quello della Germania. Fino al 24 febbraio 2022, data dell’inizio della guerra, continuava a sopravvivere nella politica tedesca il mito della Ostpolitik inaugurata da Willy Brandt negli anni ’70. Si trattava allora di un’apertura al dialogo verso l’Unione Sovietica, sulla base del riconoscimento tedesco delle orrende stragi commesse dai nazisti nell’Est Europa. Con l’arrivo di Vladimir Putin al potere l’atteggiamento della Germania non era cambiato. Da una parte si continuava a predicare il rispetto dei diritti umani e delle libertà in Russia, dall’altra si continuavano a coltivare affari con Mosca in tutti i campi, da quello del trasferimento di tecnologie, utili anche a rafforzare la potenza militare russa, a quello, oggi possibile oggetto di ricatto, della costruzione di pipeline di gas e petrolio, che aumentavano inevitabilmente la dipendenza tedesca ed europea da Mosca.
Eppure nel frattempo si assisteva all’occupazione di parte della Georgia da parte dei carrarmati russi, all’annessione della Crimea, alla distruzione con bombardamenti aerei di Aleppo e Homs in Siria e ai tentativi di avvelenamento e all’uccisione dei maggiori oppositori in Russia. Neppure l’articolo di Putin del 2021 sulla rinascita della Russia imperiale ha preoccupato più di tanto l’establishment tedesco. Gli affari sono continuati senza che nulla mutasse. Il nuovo cancelliere Olaf Scholz si è quindi trovato ad affrontare i preparativi di invasione dell’Ucraina con il peso di una posizione tedesca, largamente sostenuta da Angela Merkel, ormai insostenibile sia di fronte alla Russia che al resto dell’Europa.
All’inizio Scholz è apparso incerto e silenzioso. è stato l’ultimo dei grandi leader occidentali a recarsi alla corte dello “zar” Putin. Ma poi ha deciso di cambiare registro e di operare una “Zeitenwenden”, cioè una svolta storica nei confronti di Mosca. Ha innanzitutto bloccato l’apertura ufficiale del Nord Stream 2, la nuova pipeline del mar Baltico che da Mosca arriva direttamente in Germania. Ha poi espulso dal suo partito socialista (SPD) l’ex cancelliere Gerhard Schröder che, scandalosamente, aveva da decenni accettato di lavorare per Mosca nel lucroso affare della nuova pipeline. Ma dopo il 24 febbraio, in un discorso di mezz’ora al Bundenstag, Scholz ha compiuto il vero salto di qualità nella politica tedesca. Aumento delle spese per la difesa dall’1,5% al 2% del Pil (come chiedevano da anni la Nato e gli americani), il raddoppio fino a 100 miliardi di Euro degli investimenti in armamenti per la Bundeswehr e, soprattutto, l’invio di armi alla resistenza ucraina, modificando con ciò la politica di Berlino di non fornire aiuti militari in aree di conflitto. Insomma una riforma copernicana, che peserà non poco sul ruolo della Germania in Europa e nel mondo. Una potenza economica, ma nano politico, che intende trasformarsi in attore nazionale di grande rilievo e potere.
Se questa è una delle conseguenze dell’assurda guerra di Putin, non vi è dubbio che essa sia da annoverare fra le sconfitte politiche del leader del Cremlino: ha perso di colpo uno dei suoi più importanti sostenitori e interlocutori in Europa.
Certo, la svolta tedesca può fare piacere in questo particolare frangente storico, ma in prospettiva non è una grande notizia neppure per noi europei occidentali. Una grande e potente Germania non è proprio un bel ricordo.
E’ per questa ragione che la mossa tedesca deve essere vista nella prospettiva di un rafforzamento dell’Unione europea. E deve essere una prospettiva che faccia spazio ad una politica di difesa comune, un traguardo che l’Unione insegue inutilmente dal 1952. Non tanto e non solo per dare vita ad un esercito europeo, ma per dare sostanza ad un vero e proprio governo politico europeo. Governo che in questa crisi è drammaticamente mancato e che ha dovuto delegare i rapporti con Mosca ai singoli leader nazionali.
Abbiamo quindi oggi bisogno di una “Zeitenwenden” europea e non solo tedesca. Approfittiamone. Il momento è venuto.
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