“Putin è un genio” ha sfacciatamente dichiarato l’ex presidente americano Donald Trump. Dove ci sia qualcosa di geniale in un autocrate che invade un Paese democratico come l’Ucraina è davvero difficile da scoprire. Nella sua grande genialità il boss del Cremlino è perfino riuscito a rendere compatta e quasi “aggressiva” la nostra debole Unione europea.
La rapidità con cui i 27 hanno varato sanzioni economiche, che non si erano mai viste in altre occasioni di crisi in Europa e nel resto del mondo, è stata stupefacente. L’apertura delle frontiere dell’Est all’inevitabile afflusso di rifugiati in fuga dalla guerra ci ricorda uno spiraglio di generosità del passato, quando nel 2015 si accolsero (in particolare la Germania) oltre un milione di persone in fuga dalla Siria. Ma soprattutto quello che ci colpisce di più è stata la decisione da parte della Commissione di finanziare la fornitura ai combattenti ucraini di armamenti non solo difensivi, ma anche letali, al fine di scoraggiare l’avanzata russa. Fino a qualche giorno fa nessuno ci avrebbe creduto. Soprattutto a non crederci era il presidente russo, che ha scommesso fin dall’inizio sulla debolezza e le divisioni all’interno dell’UE. A confermarlo in questa sua previsione è stata anche la lunga processione di leader nazionali europei (ma non delle istituzioni dell’UE) che si sono recati a Mosca, alla corte del dittatore, per strapparne la promessa di non invadere l’Ucraina e magari “accontentarsi” delle province filorusse ribelli di Donetsk e Lugansk. Ed ancora, nella mente di Putin, era presente la grande e caotica ritirata della passata estate di europei e americani da Kabul, a conferma della loro debolezza e volontà di sottrarsi alle proprie responsabilità in una eventuale nuova crisi. Ma questa volta, ed è qui l’errore imperdonabile del “genio”, si è toccato il cuore dell’Europa, che porta ancora con sé la memoria dell’ultimo conflitto mondiale e dei madornali errori di sottovalutazione che l’occidente europeo aveva fatto con la Germania di Hitler.
Oggi la sensibilità politica dei nostri Paesi è molto diversa da quell’epoca. Soprattutto è chiaro a tutti che in gioco non è solo l’indipendenza dell’Ucraina, ma il futuro della stessa democrazia europea. è anche questa la ragione che ha spinto il presidente ucraino Zelensky a chiedere al Parlamento di Strasburgo l’adesione all’Unione europea, che rappresenta fin dalle origini un progetto di convivenza democratica fra i propri membri. è infatti giusto ricordare come i successivi allargamenti dell’UE in questi decenni abbiano quasi sempre risposto alla necessità di rafforzare le nuove democrazie. è stato il caso della Spagna e del Portogallo uscite dalle dittature del passato, o della Grecia dopo il rovesciamento del regime dei colonnelli, o ancora dei Paesi dell’Est ritornati alla democrazia dopo il collasso dell’Unione Sovietica.
Salvare la democrazia in Ucraina serve anche a proteggere il disegno europeo. Per questa ragione ben venga questo soprassalto di coesione fra i 27 e di difesa dei valori dell’Ue minacciati dalla guerra russa in Ucraina. Purché questa reazione non rimanga solo un fatto emozionale, dettato dalla paura e dal rischio di un allargamento del conflitto. Come ha fatto nella guerra alla pandemia con il lancio del Next Generation EU, Bruxelles dovrebbe varare già da subito un pacchetto di grandi politiche comuni. Dalla più che necessaria Unione energetica, per negoziare in comune il futuro delle fonti di approvvigionamento, al completamento dell’Unione bancaria, per adottare in comune le misure finanziarie che oggi siamo costretti a decidere singolarmente. Ma è anche tempo di dare forma alla tanto invocata politica di difesa comune, un progetto che esiste dal lontano 1952. Il valore di questa politica non dovrebbe tuttavia essere quello di costruire un apparato militare paragonabile a quello russo, ma di dare vita ad un autentico governo politico europeo, capace di varare a nome dei 27 le misure che si rendessero necessarie per future crisi. Non è infatti di consolazione apprendere che la Germania abbia deciso di riarmarsi raddoppiando la propria spesa nazionale per la difesa fino al 2% del Pil. Così non è accettabile che il rifornimento di armi all’esercito ucraino passi unicamente per il confine polacco e non anche da quello ungherese, ove è ostacolato dalle simpatie putiniane di Viktor Orbàn. Come non è un buon segnale che il presidente polacco affermi la necessità di dare vita ad una difesa comune, lasciando perdere le condanne al suo Paese per violazione dei diritti democratici. è esattamente il contrario. Prima la democrazia, poi le politiche. Non devono in definitiva prevalere gli interessi e le singole azioni nazionali. è l’Unione che deve decidere per tutti noi. Ma perché ciò avvenga, l’Unione europea deve riformare profondamente i suoi meccanismi istituzionali e le sue strutture di governo. Altrimenti l’odierna coesione sarà destinata a finire molto presto e le divisioni torneranno in superficie. Proprio quello che Putin attende con ansia.
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