Dal borsone del magistrato al portagioie della nonna, ogni custodia “protegge” quello che si ritiene un valore. In questa Giornata nazionale d’inizio febbraio veniamo richiamati a “custodire la vita”, ma siamo tutti convinti che ogni persona meriti attenzione, e pari dignità? Non è che la “cultura dello scarto” ci abbia portato a credere che certe vite valgono meno delle altre o valgono davvero poco, quasi nulla? Vite “irrecuperabili” per la loro disabilità grave, vite lasciate naufragare su un barcone, vite esposte a condizioni di lavoro ad alto rischio.
Altro che “fratelli tutti”, la globalizzazione dell’indifferenza soffia fin sotto casa. Tollera i discriminati e perfino gli abbandonati, “residui inevitabili” del sistema. Potrebbe essere questo – il valore di ogni persona – un tema da cammino sinodale, generativo anche nel dialogo con i non credenti. Lo suggerisce una Giornata che 44 anni fa era stata istituita a partire dall’esistenza meno visibile – ma già attecchita nel grembo di una mamma – e che ora ci chiama a riscoprirci tutti, di nuovo, custodi della vita. Che significa progetti coerenti e azioni concrete, gli esempi non mancano. Andate a bere un caffè dagli operatori e dalle operatrici di “Casa Padre Angelo”, dove Cristina ed Elisabetta hanno trovato il calore e l’equilibrio per uscire da una fase di fragilità. Con la loro forza, ritrovata negli occhi dei loro bimbi, diventano testimoni eloquenti di cosa significa “custodire la vita”. Come primule che saltano fuori da un inverno demografico davanti al quale, peraltro, sembriamo timidi e incapaci di rompere il ghiaccio. A custodire la vita ci hanno insegnato nella pandemia i camici azzurri delle terapie intensive, piegati su ogni malato – giovane o anziano, vaccinato o non vaccinato – con la stessa coraggiosa determinazione, ben oltre il compito professionale.
Anche al nostro settimanale capita di raccontare storie di “custodi della vita” sul terreno della disabilità o della vita in stato vegetativo: genitori o familiari che manifestano silenziosamente il valore di una vita dedicandosi tenacemente ai loro cari ad ogni ora del giorno, ricambiati da un sorriso o anche solo da un movimento del viso. “Non mi sento di giudicare, ma quando sento parlare di diritto ad una morte dignitosa – è la testimonianza del collega vaticanista di Avvenire Salvatore Mazza, ora malato di SLA – un po’ sono perplesso. Perché prima bisognerebbe garantire a tutti quelli che sono nella mia stessa situazione, totalmente dipendenti da macchine e assistenza, il diritto a una vita dignitosa”. Problemi epocali, rompicapo giuridici, ma i primi passi della nostra umanità partono dal riconoscimento del valore di quella persona, della sua fatica e della sua relazione con gli altri.
Fra i tanti scritti di don Tonino Bello, nell’anno della sua beatificazione, merita leggere “la lettera ai drop out”, agli scartati. Si conclude così: “Per voi ho scritto questa lettera, che certamente non leggerete. Ma spero tanto che qualcuno ve ne racconti il messaggio. E vi dica che un altro prima di voi, Gesù di Nazaret, è stato considerato ‘pietra di scarto’ anche lui dai costruttori. Drop out, come voi. Quella pietra, però, Dio l’ha scelta come testata d’angolo”.
Lascia una recensione