Tra Etiopia e Valle dei Mocheni, dove ha vissuto Agitu: il libro di Benedetta Capezzuoli

“Il mondo di Agitu è anche il nostro” racconta la cornice che ha caratterizzato la vita della pastora etiope

Era arrivata in Trentino con duecento euro in tasca, come aveva raccontato ad Annalisa Camilli, giornalista di “Internazionale”, nel 2017. Sempre a questa testata aveva parlato, in occasione del Festival di Ferrara, del land grabbing, l’accaparramento delle terre che devastava il suo Paese, l’Etiopia. La storia di Agitu Ideo Gudeta, l’imprenditrice agricola assassinata il 29 dicembre del 2020 da un suo collaboratore nella sua casa di Frassilongo, in Valle dei Mocheni, si intreccia con quella di tutti noi perché sono universali i temi che Agitu ha dovuto affrontare nel corso della sua vita: la migrazione, l’affermazione professionale in quanto donna in un mondo, quello della pastorizia, perlopiù popolato da figure maschili, e l’attenzione alla sostenibilità.

“Il mondo di Agitu è anche il nostro” recita, non a caso, il titolo del libro di Benedetta Capezzuoli (Edizioni del Faro, dicembre 2021), fiorentina che per anni ha svolto la professione di veterinaria. Il libro arriva a un anno dalla morte di Agitu, ricordata con una passeggiata organizzata da un gruppo di amiche (qui articolo) e con una statua esposta al palazzo della Regione a Trento (qui articolo).

Capezzuoli si è inoltrata nella “Valle Incantata”, dove Agitu si era stabilita dopo alcuni anni passati tra Rovereto e la Val di Gresta. Il suo, più che un resoconto biografico della vita dell’imprenditrice agricola, è un racconto, diviso per capitoli, di alcuni dei grandi temi che la storia di Agitu ha fatto emergere. Oltre a un approfondimento sulla situazione geopolitica dell’Etiopia e sul land grabbing, vi sono anche dei focus sul mondo della pastorizia e dell’agricoltura sostenibile e sulla storia del Trentino, la terra che aveva adottato Agitu e che, nonostante gli episodi di stalking e razzismo, ne aveva saputo apprezzare le qualità.

“Il mondo di Agitu è anche il nostro” si muove tra Etiopia, Trentino e Toscana

Agitu aveva appreso dalla nonna, in Oromia, l’arte di allevare le capre. “Io la considero un’artista del suo settore – scrive Capezzuoli – alla stregua di una poetessa di fama internazionale o di una cantante di successo per aver portato sotto la lente di ingrandimento un’attività che aveva bisogno di essere conosciuta e riconosciuta”.

A momenti di approfondimento, più divulgativi, ne “Il mondo di Agitu è anche il nostro” si alternano passaggi vissuti in prima persona dall’autrice, che ha parlato con alcuni dei vicini di Agitu nel suo viaggio a Frassilongo, ma anche con don Luigi Verdi, che aveva conosciuto l’imprenditrice nei ritiri spirituali alla Comunità del Casentino. A lei don Verdi ha dedicato un’icona: una colomba d’oro, circondata dalle “sue” immancabili caprette, fedeli amiche che lei conosceva e chiamava ognuna con il proprio nome.

“Nulla conta più di loro nella mia vita – ripeteva sempre Agitu, come è riportato in un passaggio del libro – e niente mi appaga quanto il loro amore puro e incondizionato. Sono la mia forza e il mio rifugio, dandomi la possibilità di potermi rigenerare. Mi trasmettono serenità e tranquillità e sono loro grata perché sono la mia vita”.

Un “mestiere atavico”, come lo definisce Benedetta Capezzuoli, che riconnette l’uomo con le suo radici e con Dio stesso. “Ognuno dia l’interpretazione che crede agli eventi riportati nell’Antico Testamento – scrive l’autrice, riportando la storia di Abele, pastore, e del fratello Caino -, certo è che in più di un’occasione personaggi chiave della discendenza consacrata a Dio sono stati prescelti mentre pascolavano le pecore”.

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