Il dramma del Dio bambino

Davanti al Bambino del presepe troppo spesso ci lasciamo sedurre da una sorta di falsa poesia, imperniata su di un sentimentalismo sdolcinato che affoga nella glassa l’evento dell’Incarnazione.

Il genere poetico più adatto ad esprimere il Natale è piuttosto quello drammatico del poeta di origine ebraica Max Jacob: «La Vergine diceva lavando il Bambino:/ “Una nuova spugna mi ci vuole/ un catino smaltato”./ Ogni cosa a suo tempo,/ fa il bambino Gesù,/ La spugna per il fiele!/ Il catino per il sangue!». A questa drammaticità dell’Incarnazione fanno eco anche le giornate successive al Natale: il 26 dicembre festeggiamo S. Stefano, primo martire della Chiesa ed il 28 festeggiamo i santi innocenti, che «hanno confessato Cristo col sangue non potendolo ancora confessare con la voce».

Il Natale ci rimanda perciò alla Pasqua, perché l’evento dell’Incarnazione esprime fin dall’inizio la solidarietà di Dio con l’umanità e la disponibilità di Dio a vivere un’esistenza realmente umana, anzi l’esistenza umana al suo livello più umile. L’Incarnazione non è un fatto simbolico e non è nemmeno una favola per addormentare i bambini, non può essere nemmeno un pretesto per sentirsi ipocritamente più buoni per un giorno all’anno.

L’Incarnazione è l’evento atteso da secoli: è il mistero del Dio eterno che si assoggetta ai limiti del tempo, con le sue leggi di crescita e gradualità; è il mistero del Dio ineffabile che parla con parole umane e piange con lacrime umane e sorride con occhi di bambino; è il mistero del Dio onnipotente che ha bisogno di essere allattato da Maria e protetto da Giuseppe; è il mistero della luce eterna, del Dio luce da luce, che accetta di risplendere dentro le tenebre della storia, dell’umanità, della nostra esistenza; è il mistero del Dio vita dell’universo, per mezzo del quale tutto è stato fatto, che fa propria la nostra fragilità e la nostra mortalità; è il mistero del Dio invisibile ed incontenibile, che si rende visibile dentro una famiglia umana e che si lascia portare in grembo e tenere fra le braccia; è il mistero del Dio Santo, che non ha conosciuto peccato e che si lascia trattare da peccato per donare a noi perdono, riconciliazione, santità.

“Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio che ti sei fatto uomo nascendo dalla vergine Maria, abbi pietà di noi, e perdonaci, se abbiamo svuotato il dramma della tua Incarnazione: aiutaci a intravedere la tua luce nel buio del presente; aiutaci a percepire il canto degli angeli nonostante il rumore assordante che ci avvolge; aiutaci ad accogliere la pace che tu ci doni, che è l’unico regalo che ci cambia il cuore”.

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