Una curiosità non da poco, “epocale” verrebbe da dire, si scopre solo nelle ultime pagine. Questo romanzo fresco di stampa per Curcu Genovese è stato scritto durante i lunghi mesi della pandemia “per ingannare il tempo, per abitare il tempo”. Lo confida l’autore, il prolifico (di libri) Renzo Francescotti, che testimonia come la scrittura possa essere non solo un arricchente passatempo, ma anche una terapia in settimane sofferte e buie, come quelle infestate lo scorso anno dal virus. E può essere una compagnia anche liberatoria perché ne “Il traghetto di Piedicastello” egli esprime involontariamente “un’ansia di riscoprire la vita, di riappropriarsene attraverso incontri, visi, sguardi – come osserva nell’intensa prefazione Franco de Battaglia – e respirare insieme l’aria che scende dal Bus de Vela, o di brindare con gli amici sotto un pergolato”.
A Piedicastello Francescotti è cresciuto, ne conosce a memoria le vecchie ferite (dall’Italcementi alla tangenziale) e le nuove boccate di ossigeno, attinge alle memorie già raccolte nel 1980 in “Gente di quartiere”, puntando soprattutto sui personaggi umili del più antico rione di Trento (dalla “Ginalonga” agli zatterieri) e sul repertorio fotografico del sito comunitario piedicastello.tn.it.
Ogni rione, come ogni paese, rappresenta un romanzo, ma qui Francescotti ci offre una costruzione che mescola i vari registri del suo poliedrico talento: la collocazione in epoche lontane propria dello storico, i riferimenti cronachistici del giornalista, i ritratti caricaturali dell’autore teatrali, le atmosfere liriche del poeta. Soprattutto, l’invenzione del romanziere che parte da volti riconoscibili per farci volare lontano nell’epos popolare. È un romanzo a racconti senza trama e senza colpi di scena, senza “furbate letterarie”, come lui stesso giustifica: “Per me un romanzo dovrebbe riuscire a rubare la vita, il narratore dovrebbe essere un ladro di vita. Per esempio, prendere il passato e riuscire a raccontarlo come se stesse accadendo adesso, donne, uomini, vecchi e bambini che si rimettono in vita, si rimettono in cammino, come se vivessero adesso”.
Quest’ambiziosa idea dello scrittore come “dio-ricreatore” cattura il lettore e lo fa salire su quel traghetto che dal 1943 al 1947 sostituì il ponte di ferro legando alla città la RAP, la Repubblica Autonoma di Piedicastello. Ci si sente tutti un po’ pedecasteloti in un’appartenenza che ora può contare sul suo romanzo identitario.
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