Faustina, la sua domestica, le ripeteva sempre “Siora Battisti mi non capiso perché ela la se mete sempre con quei che le ciapa”. Ernesta Bittanti, nata a Brescia nel 1871 e morta a Trento il 5 ottobre del 1957, fu una donna coraggiosa che anticipò molte battaglie, come quella per il diritto di voto alle donne. Non aveva paure. Non ebbe timore quando, nel primo dopoguerra e per tutto il periodo del fascismo, difese le idee del marito defunto, Cesare Battisti, che venivano spesso strumentalizzate.
La figlia, Livia Battisti, scrisse che la madre “amava definirsi, di Cesare Battisti, lo scudiero; e si faceva un vanto di non aver mai disturbato l’opera di Lui colla sua, anzi di aver sempre saputo ‘tirarsi in disparte’. Era però così fedele e sicura interprete del pensiero di Cesare Battisti, che egli accoglieva la sua collaborazione al giornale senza neppur leggere gli articoli prima che fossero stampati; affidava a lei la direzione del giornale durante le sue assenze (per i suoi lavori geografici, per la propaganda, quando era al Parlamento di Vienna e… quando era in carcere) e si confortava della sua approvazione dicendo a lei, prima di pronunciarli in pubblico, i suoi discorsi”.
Livia Battisti trascorse l’infanzia tra Brescia, Cremona e Cagliari. Il padre, Luigi, era un professore di matematica, e le trasmise la passione per lo studio. Fu una delle prime donne a laurearsi in Italia: concluse il suo percorso di studi nel 1896 con una tesi in storia di letteratura all’Università di Firenze. Nel novembre dello stesso anno cominciò anche ad insegnare al Liceo Galilei di Firenze, ma fu ben presto cacciata per il suo attivismo politico.
Attorno a lei, alle due sorelle e al fratello, si creò un cenacolo di intellettuali del calibro di Gaetano Salvemini, che di lei disse: “La chiamavo Ernestina e continuo a chiamarla Ernestina tutt’ora. L’Ernestina era assai più colta di me. Fu lei che mi rivelò i romanzieri russi. Fu lei che mi fece conoscere la Rivista di Filosofia scientifica”.
Tra gli intellettuali che frequentavano casa Bittanti c’era anche Cesare Battisti, più giovane di lei di quattro anni, con cui si sposò e si trasferì a Trento. Lì fondarono le riviste “Il Tridentum” e “Il Popolo” e parteciparono alla vita politica all’interno del Partito socialista del trentino.
Oltre a battersi per il diritto di voto alle donne, Ernesta Bittanti avviò una campagna a favore del divorzio, in aperta polemica con la Chiesa. La replica? La processione della Madonna pellegrina si fermava sempre davanti a casa Battisti per pregare per quella donna “perduta e senzadio”.
Ernesta Bittanti e Cesare Battisti ebbero tre figli: Gigino nel 1901, Camillo nel 1907 e Livia nel 1910. Lei continuò sempre a lavorare nelle sedi dei giornali diretti dal marito, che si assentava spesso per recarsi al Parlamento di Vienna prima e alla Dieta di Innsbruck poi. Quando Cesare Battisti partì per il fronte, lei ricominciò a insegnare per mantenere la famiglia.
Durante il periodo del fascismo, prese posizione contro le leggi razziali, tanto che il giornalista antisemita Telesio Interlandi, direttore della “Difesa della Razza”, la definì la “pecora matta”. Ma lei non si diede per vinta. Una foto la ritrae intenta a giocare con la nipote in giardino; il particolare importante, nella foto, è la stella di David cucita sul cappotto della Bittanti. Il 18 febbraio del 1939, invece, fece pubblicare su Il Corriere della Sera un necrologio per Augusto Morpurgo, irredentista ebreo, in aperta violazione delle norme dell’epoca.
Dopo l’8 settembre del 1943 fuggì in Svizzera con la famiglia, da dove aiutò i partigiani della Val d’Ossola. Il figlio Gigino fu nominato primo sindaco socialista di Trento nel 1946; nello stesso anno, però, perse la vita in un incidente ferroviario.
Negli ultimi anni di vita, “la vedova più importante d’Italia” – così viene definita – si ritirò nel suo studio e si dedicò a esaminare la questione altoatesina. Di lei, Ferruccio Parri scrisse: “Custode fiera e fedele della memoria dell’eroe / combattente animosa irriducibile / di tutte le battaglie della libertà”.
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