Non comincerà in Duomo il prossimo 17 ottobre alle 10 il cammino sinodale. Quel giorno sarà “solo” lanciato con un gesto diocesano, ma esso di fatto è già cominciato. Dove? Nel cuore e nell’agenda di singoli cristiani e di gruppi che non credono alla sinodalità come “parola magica”, ma la vivono come “uno stile da incarnare più che un piano da realizzare” in quel dialogo “aperto e costruttivo” raccomandato dall’arcivescovo Lauro nella lettera pubblicata da Vita Trentina nello scorso numero.
È già cominciato nel confronto che ha portato “un gruppo di preti e laici” ad elaborare quell’intervento dal titolo ultimativo “Una Chiesa sinodale: se non ora, quando?” affidato a Vita Trentina a pagina 34 dell’edizione del 19 settembre. Merita leggerlo e forse anche rileggerlo perché contiene molte osservazioni esigenti: l’appello a cambiare, un popolo fraterno come obiettivo del cammino, la transitorietà del servizio gerarchico, il rischio di una “deriva clericale patologica”, il ruolo delle donne, la vocazione all’ascolto. Ci regala e ci suggerisce anche un’immagine innovativa rispetto a quelle solitamente utilizzate (una strada, una carovana, non un parlamento…) per provare a rappresentare lo stile sinodale: “In una Chiesa in movimento – scrive il gruppo trentino – la sinodalità è come una danza insieme nella quale tutti, fedeli e pastori, si muovono in relazione gli uni con gli altri”. Una “danza insieme”. Non si pensa certo ad una compagnia elegante e immacolata, che si esibisce sulle punte in perfetta sincronia. S’immagina probabilmente un variopinto gruppo di persone che – come avviene in America Latina o nell’Est europeo – si ritrovano sul prato o sul sagrato ballando sui ritmi della tradizione.
Come una danza così non può mai essere triste o noiosa, anche la sinodalità deve alimentarsi della gioia del Vangelo, ritrovata nella mensa domenicale della Parola e nel rivedersi – seppur distanziati – con un sorriso in presenza, lasciandoci alle spalle mesi di streaming. Una danza gioiosa, ma anche popolare, dove nessuno si sente escluso perché non conosce i movimenti previsti o non li sa eseguire. Una sinodalità inclusiva (meglio dire “accogliente” visto che entriamo nella Settimana dell’accoglienza), che “deve essere capace di non lasciare indietro nessuno – come scriveva il gruppo di preti e laici la settimana scorsa – ed evitare che una voce, una qualsiasi voce ecclesiale, per pregiudizio o per preconcetto, non venga ascoltata”.
Certo, non s’improvvisano i movimenti di una danza popolare. Ecco l’importanza di allenarci fin d’ora a vivere una formazione alla sinodalità. Che non vuol dire conferenze metodologiche quanto esperienza anche concreta di cambiamento nell’apertura missionaria (siamo ormai nel mese giusto): “Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze – diceva Francesco domenica scorsa da vescovo ai suoi romani – . Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza. Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese”.
Che gioia poterci preparare a una danza comunitaria, gioiosa, non improvvisata, aperta a tutti! Mentre auguriamo buon cammino sinodale anticipato, resta la disponibilità del settimanale ad essere strumento – come richiesto dal citato intervento “per una comunicazione senza doppiezze e opportunismi”.
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