L’ evangelista Giovanni, dopo che Gesù ha sfamato la folla, dando loro il pane da mangiare, raccomanda di non darsi da fare per una cosa qualunque, di non pensare solo a un «cibo che perisce». Ciò che importa davvero è avere come orizzonte la vita eterna. Viene spontaneo allora chiedersi che cosa bisogna fare per raggiungere quell’obiettivo. E la risposta di Gesù è sconcertante: l’unica opera che Dio chiede è questa: «che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29).
È importante capire bene cosa significhi. Anzitutto Gesù dice che credere non è soltanto un’esperienza teorica, per cui se «credo che Dio esiste» sono a posto e ho fatto tutto quello che dovevo fare, riducendo la fede a un’adesione religiosa. Gesù indica qualcosa di molto diverso. Intanto dice che la fede è un’opera nella quale i suoi discepoli devono impegnarsi per tutta la vita.
Si tratta di vivere Dio come Padre, di reagire sempre con misericordia, di essere portatori di speranza. Credere in Gesù è portare il suo progetto sulla terra, sforzandosi per un mondo più umano e giusto, non dimenticare coloro che corrono il rischio di venir dimenticati da tutti, anche dalle religioni. E tutto ciò sapendo che il nostro impegno, magari piccolo e povero, è l’opera più umana che possiamo compiere. E anche «la più divina», perché Dio stesso opera con noi e in noi. Ma è proprio questa consapevolezza che oggi rischia di venire meno.
Dio è lasciato ai margini e ciò che guida la società è piuttosto la moda consumistica. È importante possedere l’ultima novità che ci viene offerta.
Un sociologo francese descrive «l’individuo-moda», dalla personalità e dai gusti mutevoli, «senza legami profondi, attratto dall’effimero».
Gesù aveva ricordato ai suoi discepoli: «Datevi da fare non per un cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6, 27). Nutrirsi solo dell’effimero porta a vivere senza radici e senza consistenza interiore. Ci si accorge che tutto passa, e allora si vorrebbe fermare il tempo, si ha paura, e talvolta orrore dell’invecchiamento, tanto da aggrapparsi alla gioventù fino a rasentare in certi casi il ridicolo. I credenti davanti alla morte possono essere presi dalla paura, ma non inventano una vita che dura per l’eternità.
Si fidano di Colui che ha detto «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà» (Gv 11,25), e conseguentemente si preoccupano di nutrire quello che c’è di eterno in loro, fondando la propria vita in un Dio che vive per sempre e in un amore che vince anche la morte. Dio lo si può incontrare!
Certamente ogni persona deve seguire un proprio percorso personale, e nessuno può indicare dal di fuori i passi concreti da fare. Tuttavia è importante non avere mai paura di Dio, delle miserie umane, dei peccati: in Gesù ogni male è stato vinto e ci ha preparato un posto presso di Lui. Lo possiamo capire se prendiamo in mano il Vangelo.
Non è una semplice storia accaduta più di duemila anni fa. Leggendolo è possibile incontrare Gesù: Egli è la via che ci conduce a Dio. Il Vangelo è una «bella notizia», che ci fa vivere, che ci guarisce e ci fa scoprire quanto siano vere le parole di Gesù: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete mai!» (Gv 6,35).
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