“La Luna”. Quando le chiedevano quale fosse il suo satellite preferito, Angioletta Coradini aveva le idee chiarissime, e la sua risposta non tardava ad arrivare. Aveva cominciato a studiarla, la Luna, da giovane neolaureata, analizzando i campioni che la NASA inviava al suo gruppo, che si era distinto per le ricerche geologiche condotte nel golfo di Cagliari.
Angioletta Coradini nasce a Rovereto il 1° luglio del 1946. Sin da piccola è attratta dal funzionamento dei macchinari presenti nei cantieri in cui il padre, un ingegnere edile, lavora. Perciò, anche se la madre sogna per lei una carriera da interprete, lei si incaponisce e decide di perseguire il suo sogno di studiare fisica. Il suo mito, come dichiarerà in più interviste, è Marie Curie. “Era l’essenza di tutto ciò che avrei voluto essere”, spiega. “Un misto di timidezza, cocciutaggine, consapevolezza e determinazione”.
I suoi studi la portano, dopo una giovinezza passata tra Napoli e Torino, a Roma, sua città d’elezione, dove frequenta “La Sapienza”. Sono gli anni delle contestazioni studentesche e dei movimenti femministi; ma è anche il periodo in cui si parte alla volta della Luna, di cui Coradini – la “signora dei pianeti”, come verrà chiamata – si innamora.
Coradini si specializza in astrofisica; una scelta controcorrente, la sua, perché all’epoca una delle poche carriere riservate alle donne – anche scienziate – era l’insegnamento. Il professore che tiene la riunione di orientamento per gli studenti e le studentesse del terzo anno, infatti, suggerisce a tutte le future scienziate di diventare maestre. Nessuna delle presenti a quella riunione, però, sceglie quella strada.
Per oltre trent’anni, dal 1970 al 2001, Coradini lavora presso il Reparto di Planetologia dell’Istituto di Astrofisica Spaziale del Comitato Nazionale di Ricerca. In quegli anni iniziano le prime collaborazioni con la NASA: Angioletta è tra i primi ricercatori non americani che studiano i reperti provenienti dal nostro satellite. Si specializza poi nello studio della composizione dei pianeti del sistema solare e contribuisce, in qualità di coordinatrice scientifica, alla realizzazione di progetti della NASA, dell’ESA e dell’ASI. Un lavoro di gruppo, quindi, portato avanti a livello mondiale, europeo e italiano. “Non c’è speranza di fare da soli questo tipo di lavoro”, specifica in un’intervista, alcuni anni prima della sua morte, avvenuta nel 2011 e causata da una malattia contro la quale stava combattendo da un paio d’anni. “Un rappresentante di Obama ha detto che l’esplorazione planetaria non può essere fatta da una sola nazione – ha aggiunto -. Quindi stiamo stimolando la collaborazione tra la Nasa e l’Esa per esplorare Marte. Il primo aspetto è quello di andare, di esplorare un sito tramite le sonde spaziali e la messa a punto di strumenti che sono in grado di studiarlo da vicino, oppure scendendo sul pianeta, raccogliendo i campioni e studiandoli. Questi sono i due aspetti propri della planetologia moderna. È l’armoniosa collaborazione tra i vari aspetti che permette di studiare i pianeti così come sono e capire che sono dei veri e propri mondi”.
Nel 2001, Corradini entra a far parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica come direttrice dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario, di cui sarà alla guida fino al 2010.
A Corradini si devono gli strumenti che hanno permesso di osservare Marte e Venere, ma anche lo spettrometro “Virtis”, che nel 2014, a bordo della sonda dell’ESA “Rosetta”, è arrivato sulla cometa 67P/Churymov-Gerasimenko. Un’area della cometa, ora, ha il suo nome: “A. Coradini Gate”.
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