È una lunga storia costellata di promesse, ritardi, polemiche quella del trasferimento dell’Ospedale infantile (“l’Ospedalino”, per i Trentini) da via della Collina all’Ospedale S. Chiara, poi avvenuto il 15 giugno 1991. “Era un sabato”, ricorda il dottor Dino Pedrotti, neonatologo, primario “storico” del Centro neonatale, che di quel trasferimento fu un acceso e instancabile fautore. “È vero – ricorda oggi, a trent’anni di distanza – che l’Ospedalino era un fiore all’occhiello della sanità trentina, una struttura invidiata da tutt’Italia, davvero ‘a misura di bambino’. Ma i tempi alla fine degli anni Settanta erano decisamente cambiati, rispetto agli anni Venti quando fu edificato”.
Quando quel sabato 15 giugno il viavai di ambulanze, scortate dalla polizia locale, completava il trasferimento dei piccoli ricoverati dalla vecchia struttura (che in 25 anni aveva visto entrare oltre diecimila neonati), furono archiviate rapidamente anche le polemiche che avevano acceso il dibattito sulle pagine dei giornali locali: dibattito tra i sostenitori dello spostamento, per garantire la vicinanza delle mamme ai piccoli immaturi, e chi invece temeva la liquidazione di un’esperienza esemplare e, come scrisse Vita Trentina, il rischio di “far scomparire la specificità dell’area pediatrica nel mare magnum del S. Chiara”.
“Vita Trentina già il 13 gennaio 1980 riportò in prima pagina le reazioni negative”, ricorda Pedrotti. “Mi diedero del disfattista”. Si diceva: è “una pazzia” smantellare una struttura “costata miliardi (di lire, ndr), invidiata da tutta Italia”. Le polemiche continuarono anche negli anni seguenti, ma in una situazione di stallo politico. “Era tutto fermo, tanto che nel 1985 un gruppo di genitori fondò una Associazione di Amici della Neonatologia per sollecitare le decisioni”. Chi si opponeva al trasferimento difendeva la dimensione umana dell’Ospedalino. “Ma dimenticava – ragiona Pedrotti – i morti e i danni da ritardi di assistenza ai neonati: solo a Trento, dichiaravo a Vita Trentina nel marzo 1986, esiste una sala parto distante 3 chilometri dal Centro di patologia neonatale, con ritardi di assistenza, scarsa collaborazione tra specialisti, allontanamento tra madre e figlio. In sei anni c’erano stati solo progetti (ben sei) e promesse vuote. Evidentemente, osservavo, l’Ospedale dei bambini non è importante quanto i palazzi degli assessori, un magazzino per la frutta o il rudere di un castello…”.
L’11 ottobre 1986 arrivò la decisione della Giunta provinciale: “L’Ospedalino scende in città”, titolò il nostro settimanale. “Ma solo nell’agosto 1987 si approvò il progetto. E i lavori iniziarono il primo marzo 1988, per finire quasi due anni dopo”. Il primo luglio 1991, la cerimonia ufficiale di inaugurazione a due settimane dal trasferimento, era l’ultimo atto di una vicenda durata oltre dieci anni. “Conclusasi positivamente dal punto di vista del bambino, che, in fondo, è il punto di vista più importante”, osserva Pedrotti. “Sembrerà inconcepibile, ma per anni non si era data grande importanza al fatto che l’assistenza al neonato grave dovesse essere organizzata già in Sala parto con neonatologi esperti, in diretto rapporto con gli ostetrici. E che le cure dovessero essere immediate, in un centro attrezzato vicino. Per una persona adulta era ovvio che Pronto soccorso e Rianimazione dovessero essere contigui: ma i neonati non interessavano”.
Nel 1970, ricorda Pedrotti, i dati Istat segnalavano per il Trentino tassi di mortalità infantile tripli rispetto alla Svezia. “Ma questi numeri non interessavano a nessuno. Al S. Chiara nasceva solo il 40% dei casi gravi. Non fu facile concentrare tutti i gravi rischi a Trento, ma ci riuscimmo, anche se solo negli anni Novanta”. Già nel 1973 era stato organizzato il trasporto assistito al 100 per cento dei nati, con infermiere volontarie. Erano inevitabili però ritardi di assistenza al parto e la separazione dalla madre. “Aprimmo subito il Centro alle madri. A quelle provenienti da fuori Trento offrimmo sei letti in reparto. Organizzammo il trasporto del latte e costituimmo una delle prime Banche del Latte materno”. Il latte materno passò dal 15% del 1970 al 50% del 1975 fino all’85% negli anni Novanta. I piccoli le cui mamme non avevano latte erano alimentati col “latte donato”. Anche i papà potevano accedere subito. Alle mamma lontane (“E tante lo erano”, ricorda
Pedrotti) venivano consegnate foto Polaroid. “Le mamme arrivavano dopo almeno 4-5 giorni di vita! Era un problema grave dal punto di vista umano, ma lo era ancora di più dal punto di vista pratico: morivano più neonati. Ma a nessuno interessava… Per molti anni fu tanta, purtroppo, l’insensibilità di politici e amministratori”.
Negli anni Settanta cambiavano però la Pediatria e la Sanità pubblica. “La legge Mariotti (1968) previde un discutibile reparto di Pediatria in ogni ospedale; nel 1979 venne istituito il pediatra di famiglia. I ricoverati all’Ospedalino scesero da più di 350 al giorno (1970) a 150 (1978). E fu questo (e non i rischi dei neonati) a preoccupare il presidente dell’Usl, Fernando Cioffi, che a fine 1979 progettò il trasferimento dell’Ospedalino al S. Chiara”. Il resto lo abbiamo raccontato.
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