Il primo Giro d’Italia di Samuele Rivi, in fuga verso il futuro

Samuele Rivi in fuga durante la tredicesima tappa. Ravenna – Verona. – photo Eolo Kometa Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

“Spingo, curvo, freno, cambio. Guardo il cielo, salgo in alto”, cantava Lucio Dalla in una ormai storica sigla del Giro d’Italia, descrivendo le sensazioni provate da un ciclista in fuga. Sensazioni note a Samuele Rivi, ventitreenne di Mezzolombardo, che nell’ultima corsa rosa è stato tra i più attivi nelle rincorse da lontano: quattro volte in fuga, un sedicesimo posto come miglior piazzamento, il giovane trentino si è messo in luce, rivelando doti e una vivacità che dimostra tanta voglia di crescere.

Samuele Rivi, che Giro hai vissuto?

Sono stati 21 giorni intensi, era il mio primo Giro e non sapevo cosa aspettarmi, ma il bilancio è certamente positivo. Come squadra abbiamo colto una grande vittoria di tappa sullo Zoncolan, con Fortunato, piazzamenti come il secondo posto di Gavazzi, e siamo stati presenti negli ordini d’arrivo.

Era il primo Giro anche per la Eolo Kometa, come l’avete affrontato?

Con una squadra ambiziosa, affidata a persone di grande esperienza nel ciclismo, basti pensare che i nostri manager sono Ivan Basso e Alberto Contador: con loro siamo in una botte di ferro.

Come ti trovi a rapportarti con due grandi campioni come loro?

Contador si occupa dell’aspetto tecnico delle bici, mentre Basso è molto più vicino a noi corridori per qualsiasi problema, tecniche di gara, consigli, suggerimenti. Lo abbiamo avuto a fianco per tutte le tre settimane di Giro.

Quali sensazioni hai provato a correre sulle strade trentine durante il Giro?

È stato strano. Sono abituato a vederle con il traffico, piene di macchine o di altri ciclisti che si allenano con me. Vederle chiuse, con la gente a bordo strada, per una corsa come il Giro d’Italia, è stata un’emozione molto rara, difficile da descrivere ma sicuramente bella.

Che effetto ti ha fatto vedere amici e parenti a bordo strada?

È bello vedere a bordo strada tante persone conosciute. Purtroppo il tempo è limitato e la gente che segue il Giro è veramente tanta, mi dispiace se a volte non si riesce a salutare tutti, a rispondere ai messaggi e ringraziare i tifosi per l’affetto lungo le strade.

Ci racconti un aneddoto particolare?

In 21 tappe sono successe davvero tantissime cose, ma mi ha fatto piacere trovare sulla salita di Sega di Ala mio fratello, che era lì a tifarmi con i suoi amici. Non mi aveva detto niente ed è stata una sorpresa che mi ha fatto molto piacere: era da circa un mese che non lo vedevo.

Come è stato correre all’interno della bolla anti-Covid?

Potevamo allentare le misure di sicurezza solamente tra compagni di squadra. Con tifosi e pubblico c’erano regole molto ferree e non ci era permesso salutare o fermarci per foto o autografi, per evitare qualsiasi contatto. Essendo il mio primo Giro l’ho vista come una cosa normale, ma in futuro spero di poterlo vivere in maniera diversa, anche perché ricordo quando, da piccolo tifoso, andavo a chiedere le borracce ai corridori, cosa che quest’anno era vietata. Gente a bordo strada però ce n’è sempre stata tanta, penso che il Covid non abbia influenzato l’entusiasmo dei tifosi.

Che futuro immagini per la tua carriera? In autunno in Trentino si correranno gli Europei…

Gli Europei li vedrò da spettatore, per entrare nel giro azzurro serve fare uno step molto molto più grande, nonostante il mio Giro non sia andato male. In futuro è certamente un obiettivo, ma il ciclismo è uno sport in cui niente viene regalato, la maturazione necessaria per diventare un campione non arriva dall’oggi al domani, ma è frutto di mesi di lavoro.

La tua gavetta l’hai fatta, dal Velo Sport di Mezzocorona fino al Giro d’Italia. Cosa consigli ai giovani ciclisti?

Ho cominciato da giovanissimo, prima a Mezzocorona e poi con l’Aurora di Trento, fatta tutta la trafila delle giovanili sono passato nel mondo dei dilettanti dove tutto è su scala nazionale. Il consiglio è di non strafare con gli allenamenti e di non volere tutto subito. A volte il corpo ha bisogno di tempo per maturare ed ognuno ha i suoi ritmi. È fondamentale capire se il ciclismo può essere una strada per il futuro e se si è adatti a farlo: servono tanta testa e dedizione.

Nel tuo caso, non è l’unico sport di cui sei appassionato…

Mi piace fare sport all’aria aperta, sono stato abituato così fin da piccolo e mi viene naturale andare a camminare in montagna, fare sci d’alpinismo, le ferrate. Mi trovo benissimo a vivere in Trentino in mezzo alle montagne.

Ora come prosegue la tua stagione?

Il 18 e il 20 giugno avrò i Campionati Italiani a cronometro su strada, poi, dopo un periodo di pausa, riprenderò a correre ad agosto per il Tour of Britain e altre corse in giro per l’Europa.

Ti rivedremo al Giro l’anno prossimo?

Ho un contratto di due anni con la Eolo, quindi l’anno prossimo sarò ancora con loro. Spero di tornare al Giro, ma la convocazione va meritata sul campo: se ci sarà chi va più forte di me è giusto lasciare spazio ad altri, ma se ne avrò l’opportunità sarò felicissimo di esserci.

Nell’ultimo numero, in occasione della Giornata mondiale della bicicletta, abbiamo affrontato la questione della sicurezza sulle nostre strade per i ciclisti. Da professionista come vivi questa problematica?

È ovvio che c’è un problema di sicurezza sulle nostre strade. Ci vuole un po’ di buon senso da entrambe le parti, sia da parte dei ciclisti che viaggiano in fila per tre, che da parte di certi automobilisti che, per fretta o tensione, pensano di poter giocare con la vita delle persone a bordo strada in bici solo perché li stanno rallentando di qualche minuto. In Trentino il problema non è così grave come da altre parti, e siamo molto fortunati ad avere tante ciclabili, ma è importante sensibilizzare il più possibile su questo argomento.

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