Anna Proclemer, la vita vera sul palcoscenico

La grande attrice trentina Anna Proclemer vista dalla matita di Giorgio Romagnoni

È recitando un frammento dello “Zio Vanja” di Anton Cechov che Anna Proclemer capisce che il teatro sarà la sua strada. “Compresi che recitare per me era l’unico modo per vivere sul palcoscenico la vita vera, quella che gli altri, nella vita, recitano malamente”, scrive l’attrice sul suo sito web, che ha aperto qualche anno prima della sua morte, avvenuta il 25 aprile 2013.

Anna Proclemer nasce a Trento il 30 maggio 1923. Ben presto, però, si trasferisce a Gorizia. All’asilo le suore dicono di lei che “si dà certe arie”, e questa frase la perseguiterà anche in futuro. “Ogni tanto me la ritrovo fra i piedi anche ora”, scrive. “Ma adesso non ne soffro più. Ho capito da dove nasce. Adesso potrei perfino esserne lusingata. Sì, perché si tratta di una patente di ‘diversità’”. La piccola Proclemer, infatti, si domanda spesso il perché di quell’accusa. “Perché avevo… ‘personalità’ (non so trovare una parola migliore, anche se questa è antiquata e insoddisfacente); perché, in un mio strano modo, era bella, (ma allora non lo sapevo e, anche dopo, ho sempre coltivato tortuosi e circostanziati complessi sul mio aspetto fisico); perché avevo ‘grinta’. Questo sì. Questa è una qualità che sapevo di possedere e me ne servivo per tenere la testa fuori dall’acqua, per sopravvivere”.

La sua passione per il teatro, unita a quella per la letteratura e per la musica, nasce dopo il trasferimento a Roma, dove, nel 1941, si iscrive all’Università di lettere e filosofia. Si presenta a un provino del Teatro del Guf (Gruppo Universitario Fascista) con un frammento dello “Zio Vanja” di Cechov. Lì capisce che il teatro sarà la sua strada e, nel 1942, ottiene la parte di protagonista in “Minnie la Candida” di Massimo Bontempelli. La giovane attrice è una rivelazione, per il suo pubblico e per la critica, tanto che ottiene un contratto con la Lux Film, ma con il nome di Anna Vivaldi, perché Proclemer era ritenuto un cognome troppo esterofilo nell’Italia fascista.

“Ma era davvero come una singolare malattia quella che mi sentivo addosso – scrive l’attrice sul suo sito web -; niente di romantico, di aureolato, di vocazionale. Era una presenza concreta che sembrava essersi abbarbicata alle radici fisiche del mio essere. Ma forse le vocazioni autentiche sono proprio così”.

All’inizio Proclemer non riesce a parlare del suo desiderio di diventare un’attrice con i suoi genitori. Decide allora di comunicarglielo in maniera originale. Un giorno, in un negozietto vicino a Piazza San Silvestro, incide la sua voce su un disco, recitando il finale di “Zio Vanja”. A casa fa ascoltare il risultato ai suoi genitori. Sua madre commenta: “Ma questa è Tatiana Pavlova! Ah che attrice straordinaria!”. Anna le chiede quindi di ascoltare meglio, ma la madre insiste: quella è la voce di Tatiana Pavlova. Per tutta risposta, lei esclama a gran voce: “E allora ti dirò che non è la Pavlova! Sono io! E voglio fare l’attrice!”.

Al teatro studentesco, Proclemer conosce lo scrittore Vitaliano Brancati, più vecchio di sedici anni, che si innamora di lei. I due si sposano a Roma il 22 luglio del 1946. Un anno dopo nasce la loro prima e unica figlia, Antonia. Durante la gravidanza, Proclemer si rifiuta di smettere di lavorare perché non vuole farsi mantenere. “Accantonai per quella stagione ogni progetto teatrale – spiega -, ma mi misi a fare molto doppiaggio. L’indipendenza economica è sempre stata per me una questione vitale. Non concepivo l’idea di ‘farmi mantenere’, ora che ero sposata. E anzi, mi era dolce contribuire col mio guadagno alle spese comuni. Volevo anche mettermi in condizione di avere un po’ di soldi per pagarmi prima una balia, poi una governante, quando il figlio fosse nato”. In quel periodo, doppia Barbara Stanwich e Greta Garbo in Anna Karenina e Grand Hotel. “Per più di una settimana mi feci quindici ore di lavoro al giorno, in piedi, sempre col terrore di partorire in sala di doppiaggio – scrive Proclemer -. Il film terminò il 4 maggio e il 6 nasceva Antonia”.

Nel 1953, l’attrice lascia la famiglia e si dedica totalmente al teatro. Brancati muore l’anno dopo a seguito di un intervento chirurgico; a lui è dedicato il libro pubblicato nel 1978 “Lettere da un matrimonio”.

Dal 1952 al 1955, Anna Proclemer entra nel nascente Teatro d’Arte italiano, la compagnia diretta da Vittorio Gassman e Luigi Squarzina. Debutta al teatro Valle di Roma nel novembre del 1952 nella parte di Ofelia, in “Amleto”. Chiusa quest’esperienza, si reca in Sud America per una tournée a cui partecipa anche Giorgio Albertazzi, il quale diventa suo compagno d’arte e di vita fino al 1980. Nel 1956 nasce la compagnia Proclemer – Albertazzi, che propone al suo pubblico al tempo stesso i classici e le novità del mondo teatrale.

È nel 1970, però, che Anna Proclemer afferma la sua autonomia artistica, nello spettacolo “Questo amore così fragile così disperato”. Si esibisce a Genova, dove porta i tre atti unici, “tre creature – come spiega – diversamente infelici, ma legate da un unico filo rosso: la grandezza sacra della vera disperazione. E raccontando di loro parlerò anche di me, inevitabilmente. Sarà, ogni sera, anche un viaggio nel mio cuore”.

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