Una panchina e un sacco a pelo, le voci dei senza dimora

Una foto del dormitorio d’emergenza aperto dalla Diocesi nella chiesa di San Massimiliano Kolbe, a Centochiavi (Trento nord), dal 29 gennaio al 28 febbraio

“(ndr. Senza casa) Ogni giorno vivi nella giornata. Non hai un… come si chiama… non hai un punto di riferimento diciamo, vivi giorno per giorno, basta che ‘te rivi’ al prossimo giorno quando hai niente”.

Se vi fermate a parlare con uno dei tanti senzatetto che pullulano la nostra città, capirete subito quali sono le sue priorità: cibo, sicurezza e una casa. Ora ragionate su queste 3 parole: quante volte vi è capitato di rimanere senza casa? Fin da piccoli siamo abituati a vivere nel comfort. Non ci è praticamente mai capitato di passare le notti fuori al buio, se non quando si andava in gita con gli scout ed era bello per una settimana, poi ci si stufava. Ora provate a immaginare questa situazione non per una settimana ma bensì per un anno o più, senza sapere quando tutto ciò finirà, quando potrai tornare ad avere un posto sicuro, confortevole dove poter riposare.

Le interviste che abbiamo raccolto in questo periodo testimoniano le difficoltà che ci sono nel vivere per strada. Paura, sconforto, senso di solitudine e abbandono. “Quando abiti sulla strada è troppo schifo vita, soffri troppo”, “c’è… è un deserto, che non ho mai toccato”, “Non mi piace vagabondo, clochard, non mi piace – dammi qualcosa soldi“, “avere casa è bella perché tu c’hai… puoi fare quello che vuoi… sogno di tornare come prima, avere una casa e starmene in pace. Cominciare una nuova vita da solo, perché l’ho pagata cara”.

Tanto dolore, tante sofferenze. Eppure, forse delle soluzioni ci sarebbero: “Allora, quelli, ad esempio, se tu vai a giardino trovare tanta gente lì, tutte le panchine piene di gente che dorme lì. Quando c’è caldo dorme su panchina. Adesso c’è freddo, vai a vedere stazione! Pieno di gente che dorme. Perché dove vai dormi? A giardino? Giardino non si può, fa freddo. Se loro vuole fare bene per gente, ci sono tanti palazzi chiusi. Perché loro non portare gente in un palazzo?”.

Quante volte ci è capitato di camminare per le strade di Trento e imbatterci in un cantiere edile? Quante volte vediamo vecchi edifici venir abbattuti per far spazio a nuovi più grandi e più spaziosi? Eppure, solo a Trento, ci sono più di 2.500 abitazioni sfitte mentre centinaia di persone dormono sulle panchine o sotto i ponti. “Dal momento che ci sono tante strutture vuote, tu preferisci che le strutture rimangono vuote? Mentre che persone stanno per la strada?”, ci ha chiesto uno dei nostri intervistati. “Ma anche un po’ di umanità in questo periodo ci dovrebbe essere, perché è un periodo difficile per tutti. Non è un periodo diciamo conforme, capito? È un periodo anticonforme, quindi bisogna essere anticonforme anche, capito? Perché è per il bene di tutti”.

Facilitando l’accesso alla casa e a un’abitazione decente sarebbe facile migliorare la vita a chi non ha niente, fornendo sicurezza, tranquillità, speranza. Il Covid ha solo peggiorato questa situazione. “State a casa!”, diceva il governo, ma quale casa per chi un tetto non lo ha da mesi? Per chi un luogo caldo dove rifugiarsi lo ha perso anni fa? Papa Francesco una volta ha detto: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Forse, dovremmo far nostre queste parole e portarle al di fuori della Chiesa, nella nostra società e nel nostro vivere quotidiano, perché una società giusta non dovrebbe abbandonare i più fragili quando potrebbe salvarli. Apriamo quelle case, diamo alloggio a chi non lo ha, sosteniamo chi è stato abbandonato dalla vita! Non saremo veri cristiani se non facessimo tutto ciò che è possibile per aiutare chi ha meno, chi non ha niente.

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