Le armi italiane nella polveriera mediorientale, l’analisi di Giorgio Beretta (Opal)

E’ la zona di maggior tensione del mondo. Una polveriera dove da anni, giorno dopo giorno, si combattono guerre che hanno decimato la popolazione di intere nazioni (Siria e Yemen), nella quale persistono conflitti interni mai sopiti (Iraq) o pronti a riesplodere (Libia) e gravissime violazioni dei diritti umani (Egitto e monarchie del Golfo), dove covano tensioni di lungo corso che stanno deflagrando proprio in queste ore (Israele e Palestina). è il Nord Africa e Medio Oriente, l’area dei “conflitti internazionalizzati interconnessi” (Sipri) e dei “conflitti per procura” delle potenze mondiali che hanno causato la morte di centinaia di migliaia di persone e milioni di sfollati. Conflitti dimenticati, sui quali – unica voce che grida nel deserto dell’indifferenza – papa Francesco instancabilmente richiama l’attenzione della comunità internazionale affinché tacciano le armi e sia data pace e speranza alle popolazioni stremate.

E’ proprio in quest’area che è diretta la maggior parte dell’export italiano di armamenti. E non da oggi: negli ultimi cinque anni, infatti, i Paesi del Nord Africa e Medio Oriente sono diventati i principali destinatari delle armi e dei sistemi militari “made in Italy”. Esportazioni che ammontano ad oltre 18,4 miliardi di euro pari a poco meno della metà (il 49,8%) di tutte le autorizzazioni rilasciate nell’ultimo quinquennio e che superano ampiamente quelle per i Paesi alleati dell’Ue e della Nato (37,9%).

Per la prima volta in trent’anni dall’entrata in vigore della legge 185/90, lo scorso gennaio il governo Conte II ha revocato le licenze di esportazione di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi. Il provvedimento riguarda sei autorizzazioni tra cui la licenza concessa nel 2016 per fornire l’Arabia Saudita di quasi 20 mila bombe aeree: una maxi-commessa del valore di 411 milioni di euro per ordigni prodotti in Sardegna dalla Rwm Italia, azienda che fa parte della multinazionale tedesca degli armamenti Rheinmetall. Licenze che ai sensi della normativa vigente non avrebbero nemmeno dovuto essere rilasciate: sono state infatti emesse tra il 2016 e il 2018 quando era già stato documentato dagli organismi delle Nazioni Unite come proprio le bombe italiane venivano utilizzate nei raid aerei sauditi su abitati civili. Operazioni bollate nel Rapporto dell’Onu come “possibili crimini di guerra”.
Paradossalmente proprio la revoca di queste licenze ha sollevato le rimostranze del comparto armiero e finanche di rappresentanti delle istituzioni e della Difesa. I quali, per professione e per giuramento, avrebbero il compito di far applicare le norme che sono preposte alla salvaguardia della pace e della sicurezza comune e alla tutela delle popolazioni indifese per dare attuazione al ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione (art.11).
Giorgio Beretta
analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL)

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