Un appello al Governo per ribadire l’importanza dell’osservanza rigorosa delle norme stabilite dalla Legge 185/90 sull’esportazione di armamenti e dai Trattati internazionali, in particolare il Trattato sul commercio delle armi (ATT) ratificato anche dall’Italia. E l’apertura di un “confronto ampio ed approfondito” su quella legge e sui suoi possibili miglioramenti, in direzione di una “graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie del settore della difesa”, come richiesto dalla normativa vigente. Lo rivolgono e lo richiedono associazioni e sindacati che fanno parte della Rete italiana pace e disarmo, impegnate da sempre nella promozione della pace, del disarmo, della protezione umanitaria e del rispetto dei diritti umani (l’elenco su www.retepacedisarmo.org), denunciando quella che appare come “un’azione concentrica per smantellare le norme nazionali e le procedure che regolamentano le esportazioni di armi e di sistemi militari”.
“In queste settimane diversi think tank e opinionisti del settore della difesa, insieme ad alcuni parlamentari ed esponenti militari, stanno facendo pressioni per rivedere le norme in vigore allo scopo di facilitare le esportazioni di armamenti e la competitività dell’industria militare, la cui funzione viene enfatizzata come ‘strategica’ per la bilancia commerciale del Paese, per i livelli occupazionali e finanche per il ‘rilancio’ dell’economia nazionale nell’attuale fase recessiva dovuta alla pandemia”, si legge nel documento-appello diffuso venerdì 14 maggio.
Argomentazioni pretestuose, che non trovano fondamento nella realtà dei fatti, ribattono le organizzazioni firmatarie: “I dati ufficiali, diffusi proprio dal settore industriale, evidenziano come il comparto armiero valga meno dell’1 per cento sia del prodotto interno lordo (Pil) sia delle esportazioni nazionali così come per tasso occupazionale: si tratta dunque in realtà di un settore marginale per l’economia italiana”, che invece assorbe “un flusso sovradimensionato di fondi pubblici”.
Le organizzazioni firmatarie dell’appello ritengono “inaccettabile” che esponenti delle Istituzioni “si facciano promotori di istanze per modificare le leggi e ridurre i controlli invece di impiegare le proprie competenze per valutare in modo accurato il rispetto delle norme (nazionali ed internazionali) nelle esportazioni militari e il loro impatto, spesso devastante, sulle popolazioni e nelle zone di maggior tensione del mondo”.
A scatenare le fibrillazioni del comparto militare-industriale, si osserva, è stata la revoca decisa dal Governo Conte II di sei licenze per forniture di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, a seguito di una deliberazione del Parlamento in linea con numerose risoluzioni votate ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo, che ha chiesto un embargo di armi nei confronti di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Una revoca confermata anche da una sentenza del TAR del Lazio che, ricordano le organizzazioni promotrici dell’appello, conferma il rischio serio e circostanziato che le bombe oggetto di quell’esportazione “possano colpire la popolazione civile yemenita, in contrasto con i chiari principi della disciplina nazionale e internazionale”.
Ce n’è abbastanza per un’azione di contro-lobby che chiede in sostanza il rispetto della legge esistente sull’export di armamenti, nata sulla spinta del mondo cattolico, in sintonia con il comune sentire dei cittadini dei quattro maggiori esportatori europei di armi (Germania, Francia, Spagna e Italia), come risulta dal sondaggio d’opinione condotto dall’istituto di ricerca YouGov per conto di Greenpeace.
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