Sarebbe il decimo anno di guerra in Siria. Si usa il condizionale perché in realtà non si sa veramente se la guerra è ancora in atto nei suoi scenari più evidenti o forse no, oppure nelle sue conseguenze più latenti e di più lunga, insistente, dolorosa durata. Secondo le stime dell’Onu sono più di sei milioni i siriani che tuttora vivono in Turchia, Giordania e Libano (in misura minore in altri posti) in tendopoli e abitazioni di fortuna. A questi si aggiungono circa quattro milioni di sfollati interni che al ritorno alle loro città e villaggi molto spesso trovano al posto delle loro case cumuli di macerie.

Maria Stella Crepaz, trentina, e Bianca Biroli, veronese, giovanissime infermiere oggi venticinquenni – sguardi aperti e luminosi, fiduciosi – sono state ad Aleppo per un anno, dalla primavera 2019 a metà aprile 2020, nell’ambito di un progetto di solidarietà del movimento dei Focolari con le popolazioni siriane colpite dal conflitto. Ad Aleppo, città martire nel nord della Siria, a lungo teatro negli anni scorsi di cruenti bombardamenti, Bianca e Maria Stella hanno potuto sperimentare la grande resilienza del popolo siriano. Nella porzione di territorio dove hanno vissuto per circa un anno hanno conosciuto direttamente “un popolo con tanta grinta e voglia di ricominciare”. Hanno vissuto con dedizione e impegno avendo, come dicono, i piedi in tre scarpe.
Hanno infatti potuto lavorare come infermiere presso una casa di accoglienza gestita dalle suore di Maria Teresa di Calcutta; inoltre dedicavano del tempo presso un istituto per bambini affetti da sordità, una novantina di ragazzi e l’iniziativa era sorta da una famiglia che aveva dovuto fare i conti con i problemi del proprio figlio per poi diventare un centro di convergenza di altri bisogni di altre famiglie; e inoltre si sono dedicate pure ad insegnare italiano ad un gruppo di cristiani d’oriente. Rimangono in contatto, per quanto possibile, con le persone che hanno frequentato e sanno che la pandemia lascia il segno e ancora di più lasciano un’impronta negativa le conseguenze sociali ed economiche del virus e della guerra che ha devastato il territorio e il tessuto umano, con conseguenze pesanti per le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi di Aleppo e altrove.
A distanza di un anno dopo il rientro in Italia in concomitanza con lo scoppio e il protrarsi della pandemia hanno ripreso il loro lavoro come infermiere, rispettivamente a Trento e a Verona, però una parte del loro cuore, si può dire, è rimasta in Siria. Si dicono entrambe, all’unisono, grate per quello che hanno potuto vivere in quella terra martoriata, contente di quello che hanno potuto fare, quell’esperienza arricchente sotto tutti i punti di vista è servita a loro per fare ancora meglio, qui e oggi, il lavoro in corsia, nel contatto con i pazienti e il mondo quotidiano di frequentazione. Per dire che quando si fanno certi percorsi coinvolgenti non si è più le stesse persone, si cambia e in meglio come queste due giovani donne solari hanno potuto sperimentare direttamente nella loro vita (avendo tutta la vita davanti in possibilità, grazia e bellezza).
Il contatto con le singole persone – da persona a persona, ci tengono a sottolineare – è quello che più di tutto le ha arricchite interiormente lasciando in loro come una lunga scia di conoscenze ed affetti, immagini e ricordi destinati a rimanere a lungo in loro, nell’esperienza professionale e nella loro maturazione umana.
Dicono proprio così dell’esperienza siriana: “Ci ha aiutato ad allargare gli orizzonti, ad aprire gli occhi”. A veder le cose con “nuove lenti”, ad andare oltre “il proprio quadratino” e quindi avere una “propensione al mondo intero”. Si chiama condivisione e solidarietà, saper distinguere le cose importanti da quelle che lo sono meno, un’avventura umana affascinante per Maria Stella e Bianca, la meglio giovinezza che dà ali alla speranza di un futuro migliore.