Questa quaresima 2021, segnata dal calvario di tanti ricoveri e scandita dalle ripetute “cadute” del Piano vaccinale, ci riserva pure l’amarezza per la divisione interna alla Comunità ecumenica di Bose.
Essa addolora anche tanti trentini che l’hanno frequentata negli anni scorsi e hanno goduto della parola di Enzo Bianchi in vari incontri diocesani, ma ci offre un sano richiamo quaresimale: proviamo a leggerla con uno sguardo ecclesiale, fidandoci solo di quanto scritto dai protagonisti e non dei retroscena parziali.
Non si tratta di scontro fra la personalità forte dell’ex priore e quella del successore Manicardi (per vent’anni suo stretto collaboratore) e neppure di una sorta di “uccisione del padre” ad opera dei figli spirituali, come vorrebbe un’ interpretazione psicanalitica.
Anche se da gennaio il conflitto si è acuito in merito alle condizioni del trasferimento di Bianchi alla sede destinata di Cellole (Caserta), i motivi di tensione sono più profondi e risalgono a qualche anno fa, come ammesso da fratel Enzo nel 2014. Riguardano la modalità di dare continuità ad alcuni aspetti specifici di Bose e, negli ultimi tre anni, le “incomprensioni” legate “all’autorità del fondatore, alla gestione del governo della comunità e al clima fraterno”. Nessuna questione di abusi sessuali e nemmeno venali questioni economiche.
E allora perché a Bose si è “compromessa” l’unità (sì, proprio quello che era uno dei valori evangelici fondanti), creando “sofferenza quotidiana, sconforto e demotivazione” fra i membri della Comunità? Ci aiutano a rispondere le parole con cui monaci e monache (una novantina in tutto, molti dei quali autori e guide spirituali apprezzati in tutt’Italia) hanno chiesto perdono già nel giugno scorso: «Crediamo che la risposta non la si possa trovare nell’attribuire colpe e responsabilità agli uni o agli altri, bensì nella lucida constatazione che “non siamo migliori” e che il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità».
Ecco il passo in avanti, o meglio la svolta. Con tutta la sofferenza determinata dall’aver dato una “controtestimonanza”, a Bose si è cercato di cominciare un deciso cammino di conversione, basato sugli errori commessi, sulla preghiera e sul discernimento per una possibile ripartenza. Questo cammino, anche se ben lontano dalla conclusione, può già essere la lezione di Bose.
“Non siamo migliori degli altri”, appunto. Ma nello stesso tempo – vale anche per i laici – lo scandalo non deve abbatterci, poiché possiamo ogni giorno rialzarci nel perdono reciproco, sorretti dalla misericordia. Abbiamo preso atto che anche una comunità religiosa esemplare viene attraversata nel suo sviluppo da fasi di forte incomprensione, soprattutto quando le relazioni fraterne devono fare i conti con le mediazioni dell’istituzione nelle sue complesse articolazioni: un clima “di famiglia” non sempre può riuscire a incanalarsi dentro le strutture rigide previste da una regola monastica. Peraltro, perfino nelle nostre case (non solo in quelle religiose), ci sono fasi di conflitto, difficoltà irrisolte, necessità di ricorrere ad aiuti esterni con la conseguenza di “rendere pubblico” il disagio interno…
E allora, ecco la svolta del punto e a capo: la verifica sincera e collegiale, il riconoscimento degli errori alla luce della Parola, il “cambiare direzione”: la lezione quaresimale di Bose è la volontà di conversione.
Un’annotazione non marginale, infine: abbiamo avuto la conferma di quanto insegna la storia della Chiesa e di molte istituzioni laiche con una guida carismatica. Un certo travaglio è inevitabile – forse necessario e preparatorio come le doglie del parto appunto – quando ci si trova a dover sostituire e dare continuità alle intuizioni e allo stile di un fondatore. Tanto più se esso è ancora in vita e continua ad essere un riferimento spirituale apprezzato da tanti lettori, credenti e anche non credenti.
“Posso essere stato io il problema” ha ammesso qualche mese fa fratel Enzo e, nello stesso tempo, la Comunità avverte riconoscenza filiale verso il fondatore al punto da dover garantire un “prendersi cura” di lui e della sua anzianità, segnata dagli immancabili problemi di salute.
Non ci resta che seguire con affetto e preghiera i fratelli e le sorelle di Bose; restituiamo loro il bene elargito da loro stessi alla Chiesa e al mondo in questi 55 anni, convinti di quello che potranno donare quando sarà finita questa stagione di penitenza e di riconciliazione.
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