Lo spunto:
Antonio Marchi, con la sua vita fatta di università, testimonianze di libertà e sane pedalate (ecosostenibili) in bicicletta, ha diffuso fra i suoi amici una lettera che si potrebbe riassumere in un grido: “Ridatemi il Cinema Astra!”.
Ho bisogno di pensare che ci ritornerò – dice – dopo questi mesi di reclusione. Ho bisogno di tornare a guardare le locandine dei “prossimamente” nell’atrio di corso Buonarroti, di rivedere i volti accoglienti degli Artuso alla cassa, di scegliere la saletta giusta, di immergermi nel suo buio per poi emergere alla luce delle suggestioni e delle avventure che la pellicola proietta. Dal buio alla luce, quasi un’iniziazione. “E poi – continua – ritrovarci magari a parlare di ciò che si è visto al caffè interno”. Marchi non è il solo a rimpiangere il cinema Astra dopo l’annunciata chiusura, e la rinuncia ai programmi che con intelligenza vi venivano presentati, non in solitudine, ma coralmente, in una città da vivere e ricostruire – dopo il virus – insieme. Non potremo farlo. Ridate anche a me il cinema per favore!
G.C. (Lettera firmata – Trento)
L a notizia della chiusura del Cinema Astra – peggio, dell’abbattimento dell’intero edificio e della sua trasformazione nell’ennesimo condominio – ha colpito la città con dolore e con violenza. Quanti massacri l’hanno banalizzata, nell’ultimo mezzo secolo, questa Trento!
Palazzoni – per chiamarli così – al posto di Villa Alessandra, casa Zabini, il Cinema Italia, affascinante esempio di stile Liberty, viale Rovereto, via a Prato, ed ora l’accanimento che ha preso di mira la Bolghera. Pochi giorni fa il pergolato di via Grazioli, sotto la salita dei frati, è stato tagliato. Sorgerà un multipiano.
Si potevano consentire ristrutturazioni, ammodernamenti, anche aumenti di cubatura, evitando però questi radicali abbattimenti, distruttivi non solo dei fabbricati, ma dell’immagine stessa della città e della sua funzione, che consiste in un’offerta multipla di luoghi, servizi, occasioni di lavoro e di vita.
Invece Trento si presenta sempre più come assemblaggio di dormitori, con una perdita netta sotto il profilo della convivenza. Eccola la città: un centro storico vuoto che solo le bancarelle riescono a ridestare (anche senza virus non si può vivere di soli aperitivi) una cintura di alloggiamenti uniformati e all’intorno i centri commerciali che proliferano ben oltre la concorrenzialità, ma dentro una logica tutta immobiliare, e che impongono l’uso di mezzi automobilistici, consumatori di energia, per essere raggiunti.
In questa cornice l’abbattimento dell’Astra appare grave e doloroso anche perché, stando alle dichiarazioni, non pare dovuto alla crisi del virus ma alla mancanza di una possibilità privata di portare avanti la proposta cinematografica. Per questo il problema si presenta sotto un profilo non solo urbanistico e culturale, ma soprattutto politico. Non si può, infatti, lasciare un pezzo di città strategico, come corso Buonarroti e piazza Cantore senza un presidio di incontri. E un cinema offre proprio una proposta di convivenza nell’ ascolto e nella visione, non solo un’ evasione solitaria come è l’intrattenimento di un film sul proprio tablet. É una responsabilità anche politica impedire ai cittadini di farsi prigionieri nelle gabbie della parcellizzazione mediatica.
L’abbattimento dell’Astra, e il rimpianto generale che l’accompagna, dovrebbe dunque far riflettere le autorità civili. Che gli spazi di comunicazione visiva fossero un problema di comunità lo sapevano già i Greci e i Romani, che costruivano per iniziativa pubblica stadi e teatri. Ora lo si è dimenticato, ma una città ha bisogno di questi luoghi, soprattutto oggi, per non accentuare le solitudini che il virus ha seminato.
Trento ha lasciato distruggere dagli anni Sessanta in avanti troppi spazi di incontri, anche fra le generazioni: del Cinema Italia s’è detto, ma non va dimenticato il Caffè degli Specchi (Bolzano, Trieste, Verona hanno difeso con orgoglio i loro caffè!), l’Europa, l’Antico Pavone. Il Chiesa ha cambiato etichetta e sostanza, l’Auditorium – strappato alla speculazione dei “centri direzionali” da una vasta mobilitazione (e occupazione) cittadina – s’è lasciato diventare un bivacco notturno.
Ora s’abbatte l’Astra, costruito con eleganza nel 1952. Ospitò quell’anno la prima edizione del Film Festival della Montagna, non bastano 70 anni per rispettare almeno un po’ un edificio? Non si poteva formare una convenzione per mantenere alcune salette di visione al piano terra? A chi toccherà la prossima volta? Nessuno vuole entrare negli interessi individuali legittimi. ma esistono anche le destinazioni di interesse pubblico, Per questo il problema è politico, anche perché la gente ha ormai capito – guardandosi intorno – che Trento e il Trentino sono in vendita e chi ha i soldi può comperarselo sul mercato, dai cinema agli alberghi, dai complessi turistici ai negozi che finiscono alle “catene”, dall’autostrada alle centrali, alle banche.
É questa l’autonomia? Certo non basta, per rivendicarla, commemorare i grandi nomi del passato.
manca la cultura nelle nostre amministrazioni, la nemoria storica, la tradizione, il rispetto dell’ arte e dell’ architettura