Qualcosa si muove nella politica italiana

La copertina de Il Riformista del 16 marzo 2021

L’arrivo di Enrico Letta al vertice del PD segna indubbiamente un ulteriore movimento nella politica italiana. Se sarà sufficiente a ridargli quel fiato che ha perduto lo si vedrà fra un po’, ma qualche novità già si avverte.
Non fermiamoci troppo sulle proposte contenute nel discorso di investitura: sono molte, alcune anche buttate lì più per vedere l’effetto che fa che non per divenire materia di iniziativa immediata (voto ai sedicenni, ius culturae per gli immigrati), altre sufficientemente generiche per evitare di entrare in collisione coi totem di partiti alleati (va bene che siamo tutti ecologisti, ma sugli inceneritori da che parte stiamo?). Cerchiamo di capire quali scadenze abbia in mente il nuovo segretario, visto che per ciò che riguarda il governo il timone è in mano a Draghi e il parlamento attuale si regge su una fragile tregua da non compromettere se non si vuole far saltare il timoniere.

Letta non meno di altri ha in mente la scadenza elettorale. Non solo quella delle amministrative d’autunno, importante ma non ancora decisiva, bensì le elezioni nazionali che non possono tardare più di tanto. Quando si sarà eletto il successore di Mattarella non ci sarà più problema di semestre bianco e sarà passato un tempo sufficiente perché la prima fase dell’uscita dalla pandemia si sia esaurita: sperabilmente le vaccinazioni di massa avranno fatto il loro effetto e il Recovery Plan sarà stato deciso e avviato. In più se Draghi venisse elevato al Quirinale il cambio di governo si imporrebbe e questo fa comodo a tutti, a destra come a sinistra. A quel punto proseguire con una politica di solidarietà nazionale sarebbe complicato.
E’ allora che il PD si giocherà tutto. Oggi la prospettiva di avere una legge elettorale proporzionale ha pochi sostenitori, perché se la si realizza con basse soglie di sbarramento moltiplica i partiti e complica la formazione di qualsiasi maggioranza, se si mette una soglia consistente taglia fuori troppe formazioni che oggi hanno ancora un peso in parlamento. E poi c’è la sempiterna illusione che serva un sistema per cui la sera delle elezioni si deve sapere chi ha vinto, a dispetto del fatto che potrebbe anche essere l’amara sorpresa di un momento di sbandamento.

Dunque un sistema in qualche modo maggioritario con uno scontro bipolare. Molti danno per altamente probabile che rimanga il pasticcetto dell’attuale Rosatellum, che non è né carne (maggioritaria) né pesce (proporzionale) e sarebbe un bel problema. In quest’ottica Letta valuta, non infondatamente, che possa esserci un obbligo di tornare al blocco di centrosinistra e che dunque il PD debba attrezzarsi ad essere l’asse di questo blocco. Un vecchio riflesso condizionato della sinistra che esalta le vittorie che ciò ha reso possibile (l’Ulivo, l’Unione di Prodi) e sorvola sul fatto che queste vittorie si sono rapidamente dissolte come neve al sole per l’impossibilità di fare qualcosa di duraturo guidando una ciurma rissosa e poco fornita di un qualsiasi senso di solidarietà.

In genere in questi casi si pensa che il collante possa essere quello di un “programma” cioè di una serie di obiettivi sui quali tutti accettano di concentrarsi lasciando perdere le rispettive differenze, le cui ispirazioni vengono rinviate ad un non meglio precisato “secondo tempo”. Però quel collante è molto debole se dagli obiettivi generici si scende sugli impegni specifici e soprattutto perché non sopravvive alle contingenze di cui è fatta la politica, dove capitano sempre cose non previste che richiedono risposte non compatibili con gli schemi astratti di questo o quel componente del blocco (o anche solo di qualche corrente all’interno dei partiti principali: film già visti, chiedere ai vecchi dc).

Nel caso attuale la costruzione del blocco è complicata dal suo svolgersi nel quadro di un governo di fatto “tecnico” il che significa che la gente normale, se tutto andrà almeno decentemente, si disamorerà per le fughe nelle “visioni”, mentre i vari fan club della politica le rilanceranno per non rimanere spiazzati. Questo creerà non poche difficoltà a Letta e al suo progetto di rifondare un PD che rimane ancorato alla prospettiva del cosiddetto “campo largo”. Non fosse altro perché i Cinque Stelle guidati da Conte non possono collaborare davvero, significando questo la loro riduzione ad un partitello di governisti che prosperano all’ombra del PD (più o meno quel che fu il vecchio PSDI nella prima Repubblica). Non ci sembra che siano ancora rassegnati a questo destino e se questo è vero continueranno ad essere una spina nel fianco del centrosinistra.

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