La coda per i vaccini, tra giustizia ed onestà

Il presidente Mattarella riceve il vaccino a Roma. Foto Ufficio Stampa Quirinale

Sentiamo il bisogno di alzare la voce dei più deboli, ma non vogliamo far lievitare le polemiche. Eppure dobbiamo dirci che ci sono due atteggiamenti non rispettosi del bene comune che vanno apertamente stigmatizzati.

Il primo è quello di chi vuol “saltare la fila”, di chi cerca in ogni modo la scorciatoia per mettersi al sicuro, anche se non è ancora il suo turno per ricevere il vaccino. Opportunisti che ragionano sempre con il criterio del “si salvi chi può, meglio se sono io”. Alcuni di loro sono stati chiamati gli “imbucati”, pronti a saltar fuori quando rimane qualche dose in eccedenza che non può essere rimessa in freezer.

Un richiamo a saper aspettare “quando sarà il mio turno” è venuto implicitamente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che si è recato all’ambulatorio dell’ospedale Spallanzani di Roma, senza il seguito di telecamere. Uno come tutti gli altri Italiani, come lo ritrae una fotografia a distanza insieme ad altri cittadini col braccio disteso; tutti uguali davanti ai diritti della salute.

E i doveri? Ecco il secondo rilievo critico, che riguarda quanti operano in lavori delicati eppure – anche dentro il personale sociosanitario – hanno scelto per ora di non farsi vaccinare, in parte condividendo posizioni no-vax, in parte per altre motivazioni poco giustificate. Eppure, l’affidabilità scientifica dei controlli non merita di essere messa in dubbio rispetto alla strage di vittime innocenti (fa venire i brividi la conta dei 100 mila italiani morti dall’inizio della pandemia). Ed è una preoccupazione etica, quasi religiosa verrebbe da dire, per la quale lo stesso papa Francesco parlando a braccio in un’intervista a Canale 5 ha detto: “Io credo che eticamente tutti devono prendere il vaccino. Non è una opzione, è un’azione etica. Perché ti giochi tu la salute, ti giochi la vita, ma anche giochi la vita degli altri». E ha aggiunto: «Sì, si deve fare. Se i medici lo presentano come una cosa che può andare bene e che non ha dei pericoli speciali, perché non prenderlo? C’è un negazionismo suicida, in questo, che io non saprei spiegare».

Ma in queste settimane è scoppiato l’altro dilemma etico: chi vaccinare per primo? E, a seguire, in quale ordine di priorità? Se l’obiettivo del “vaccino per tutti” va perseguito subito anche con interventi legislativi coraggiosi, anche a livello internazionale, intanto va riaffermata la priorità ai soggetti più deboli: anche in Trentino, dove si è completata la copertura degli anziani nelle Rsa e di altre condizioni definite “superfragili” (dialisi, fibrosi cistica, trapiantati) ma vanno ora considerati con altrettanta attenzione i malati oncologici e soprattutto i disabili psichici e cognitivi, soprattutto coloro che vivono a casa: vanno pensate e prese iniziative in tempi brevi, per loro corsie sì preferenziali, come hanno sottolineato i responsabili di Anffas e anche dell’Associazione Alzheimer Trento, mettendo in evidenza anche lo scoglio burocratico del consenso informato.

Qualcuno, anche dai banchi del Parlamento, ha messo poi in dubbio la priorità attribuita agli anziani, giustificandola con il fatto che sono i più segregati e quindi i meno contagiabili. Una sciocchezza che non tiene conto della realtà (il virus viene comunque trasmesso dai parenti) e del fatto che proprio nella fascia dell’età avanzata si trova statisticamente più diffusa la comorbilità, ovvero la compresenza di altre patologie. Siamo ancora molto lontani dal vaccinare tutti gli ultrasettantenni: dovrebbe essere questo uno dei primi obiettivi del Piano vaccinale promesso dal governo Draghi. Anzi un dovere di risarcimento collettivo verso una generazione – quella degli anziani anziani – che è già stata falcidiata in questi dodici mesi dal Covid-19.

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