La vicenda umana e politica di Tullio Paissan si iscrive forse in quel solco di episodi solo apparentemente “minori” nella storia della Resistenza all’occupazione nazifascista del Trentino e dell’Alto Adige. In realtà rivestono un carattere di per sé emblematico su come si comportano le persone che sono coerenti fino in fondo con i propri ideali.
Una di queste persone è senza ombra di dubbio Tullio Paissan che era nato a Cadine nel 1907 e morirà, ancor giovane, il 7 maggio del 1944 nel lager di Reichenau, nei pressi di Innsbruck, dove transitarono molti deportati italiani, dal 1944 spesso provenienti dal Campo di concentramento di Bolzano. Dopo aver svolto il servizio di leva dal 1930 al 1931, Tullio Paissan, come tanti giovani in quel tempo, viene richiamato in servizio nel 1937 in Libia, rientra dopo pochi mesi e viene collocato in congedo.
L’8 settembre ‘43 l’armistizio lo coglie a Stilves, frazione del Comune di Campo di Trens in Alto Adige, dove è impiegato civile presso la polveriera. È là che viene arrestato dalla gendarmeria in seguito ad una segnalazione di alcuni abitanti del posto. Verrà accusato di attività antinazista, condotto a Bolzano e di seguito nel lager da cui non uscirà più. C’è in certe persone una rettitudine di fondo, un tenere la schiena dritta di fronte agli eventi che può suscitare stupore e che in realtà ha a che vedere con quanto di più autentico e genuino è insito nella natura umana quando è improntata ai valori più veri di coerenza, fratellanza e solidarietà. Tullio Paissan forse non aveva avuto un particolare ruolo ma era un “resistente” per natura, non sopportava la sopraffazione e si dimostrava in cuor suo insofferente al fatto che un regime dispotico avesse portato l’Italia alla guerra e tante famiglie a dover sopportare lutti e privazioni che solo la pace avrebbe potuto evitare.
Nella primavera del 1944, quando muore, lascia la moglie Giuseppina Grisenti e quattro figli piccoli: il più grande ha 6 anni, il più piccino appena 5 mesi. Sarà la Corte straordinaria d’Assise di Trento, nell’immediato dopoguerra, a istruire un processo contro quattro cittadini altoatesini di lingua tedesca di Stilves accusati di averlo denunciato in modo subdolo e senza alcuna evidenza, così condannandolo alla deportazione.
Un dato che colpisce in questa vicenda sta proprio nel fatto in sé odioso della delazione da parte di qualcuno del posto che ha condannato in modo inesorabile una persona innocente.
Tullio Paissan infatti non possedeva armi, aveva semplicemente le sue idee di libertà e giustizia che non nascondeva, certo, ma neppure sbandierava al vento in tempi di invidie e rancori. L’aggravante poi risiede nell’atteggiamento sprezzante che quelle persone mostrarono nei confronti della moglie di Paissan, non curanti che lei si fosse trovata all’improvviso con la responsabilità di accudire e educare i figli da sola; infatti, colmo dell’ingiuria, le furono sottratti con un’azione ignobile persino i mobili di casa. Quelle stesse persone poi avrebbero beneficiato furbescamente del provvedimento di amnistia deliberato dal governo e attuato dal ministro Guardasigilli Palmiro Togliatti nel giugno del 1946.
Di recente in occasione della Giornata della Memoria il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha conferito la Medaglia alla memoria di Tullio Paissan. Sono stati i figli Enrico e Armando a ricevere il riconoscimento con emozione e riconoscenza per quel padre che non avevano avuto modo di conoscere nel loro diventare grandi.
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