“E intanto noi eravamo in montagna… giravano, e correvano, le voci: Le donne? Le donne con i partigiani, in montagna, cosa credete che facciano? Come quelle due, due ragazze sole con tutti quegli uomini…”.
Ancilla Ora Marighetto e Clorinda Veglia Menguzzato, in realtà, con i partigiani in montagna combattevano difendendo un ideale prezioso, quello della libertà. Ma, come per tutte le partigiane, la loro storia è passata spesso in secondo piano rispetto a quella dei partigiani. Ha però cercato di raccontarla, tra gli altri, Susanna Gabos, che ha scritto il testo teatrale “Ora Veglia. Il silenzio e la neve” (2010) – da cui è tratta la citazione soprariportata.
Mentre la partigiana Veglia fu uccisa nell’ottobre del 1944, Ancilla Ora Marighetto perse la vita il 19 febbraio 1945, a soli 18 anni.
La partigiana Ora era nata a Castello Tesino il 27 gennaio del 1927. Entrò nella Resistenza, nel battaglione Gherlenda, assieme a suo fratello Celestino, il cui nome di battaglia era “Renata”. Il padre, Giacomo, fu assassinato in piazza Molizza, a Castello Tesino, assieme ad altre tre persone. Solo una persona, fra loro, era nelle fila dei partigiani, ma ai tedeschi poco importava. Tra il maggio e il giugno del 1944, infatti, i nazisti e i loro collaboratori tentarono di stroncare sul nascere ogni tentativo di resistenza attraverso una serie di operazioni preventive. L’apice fu raggiunto con l’eccidio del Basso Sarca, il 28 giugno del 1944; quel giorno, nel suo studio, fu trucidato anche l’avvocato socialista Angelo Bettini.
Della vita di Ancilla Ora Marighetto, come ammette Susanna Gabos nella prefazione al testo teatrale, non sappiamo molto. Non conosciamo molto il carattere della partigiana Ora.
“Ma sì, cosa vuoi farci, ormai non siamo che immagini sbiadite – le dice l’amica di battaglia, la partigiana Veglia, in un ipotetico dialogo con cui si apre “Ora Veglia” – vecchie fotografie che si tirano fuori una volta all’anno; possiamo permetterci di dire quello che vogliamo, ormai, anche che avevano ragione loro, i fascisti; no, non scandalizzarti, anche loro avevano i loro sogni, adesso lo so. E qualcuno dice che siamo state sciocche a farci ammazzare. Ammazzare per chi? Cosa pensi che sarebbe cambiato se noi non ci fossimo immischiate, se avessimo fatto la nostra vita e basta?”.
Il momento che più è raccontato e ricordato, della vita della partigiana Ora, è quello della sua morte. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 i nazisti cercarono di stroncare tutti i movimenti partigiani; fu il momento più buio per la Resistenza in tutta Italia, non solo in Trentino. Ora era nascosta assieme agli altri partigiani – i pochi che, dopo il proclama Alexander, ancora si trovavano sulle montagne del Tesino – in mezzo alla neve. Una squadra d’italiani, guidata dal tedesco Hegenbart, li stava cercando. Quando i partigiani si accorsero che i tedeschi stavano alle loro calcagna, presero gli sci e fuggirono. Ora non fu abbastanza veloce e, assieme al partigiano Raul, cominciò a correre a gambe levate. Le gambe, però, non sono veloci quanto gli sci; i due compagni rimasero quindi inevitabilmente indietro rispetto agli altri. I due decisero allora di salire su due abeti, riuscendo per un momento a nascondersi. Un inseguitore, però, sfortunatamente avvistò Ancilla Marighetto. Le intimò di scendere, e lei lo fece, mentre il partigiano Raul assisteva inerme alla scena. Scendere a sua volta dall’albero, infatti, avrebbe voluto dire essere condannato a morte e non avrebbe senz’altro salvato la partigiana Ora.
Ancilla non parlò con i suoi aguzzini, neanche mentre era sotto tortura. Disse anzi: “Ammazzatemi, ma non tradirò i miei fratelli”. Un colpo alla nuca, partito dalla pistola di Hegenbart, la mise a tacere.
“Ecco, abbiamo ricordato anche quest’anno – dice Ancilla Ora Marighetto all’amica Veglia nel dialogo immaginario ben costruito da Gabos -. Per quanti anni ancora? Poi, un giorno, le foto sbiadite e le lapidi consunte diranno che sarà passato tanto, troppo tempo, e l’uomo avrà altre storie da raccontare”.
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