La morte di Maati, fratello marocchino

L’ex macello di Mori stazione

“I poveri li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete” (Marco 14,7). È lapidario Gesù. Come molte altre volte, del resto. E ci sbatte addosso, senza minimamente addolcirla, una realtà con la quale facciamo i conti tutti i giorni, se solo lo vogliamo. A tutte le latitudini del pianeta, non importa se si tratti di una società più ricca o di una più povera, se ci si trovi nel Nord o nel Sud del mondo. I poveri li abbiamo sempre con noi, punto e basta.

Forse qualcuno potrebbe tradurre dicendo che, anziché con noi, i poveri li abbiamo sempre tra i piedi: sempre lì a dar fastidio, ad abbruttire le immagini da cartolina che questo inverno sta regalando ai nostri sguardi, anche in città; e quindi lasciamolo fare se qualcuno di questi poveri si nasconde sotto quattro stracci rimediati chissà dove o si rifugia in uno stabile fatiscente, com’è successo giovedì notte all’ex macello di Mori Stazione.

Altri invece potrebbero leggere la provocazione di Gesù proprio come tale: una provocazione, una chiamata a cercarli ‘sti benedetti poveri, a individuare il loro sguardo, a capire che hanno un nome come lo abbiamo tutti noi, ad ascoltare la loro parola. E magari, chi lo sa?, qualcuno potrebbe addirittura intuire nella parola del povero che incontra per strada la Parola di Colui che si è fatto a sua volta povero: quel Dio che si è fatto povero per scelta, non perché non avesse alternative.

Quale che sia la lettura che vogliamo fare, la constatazione che i poveri li abbiamo sempre con noi non può però trasformarsi in un alibi; non può portarci a concludere che quindi il problema non si risolverà mai, e non può nemmeno autorizzarci a pensare soltanto che qualcuno farà pur qualcosa. Il che, peraltro, è assolutamente vero: la gente che si dà da fare per i più poveri è molta di più di quanto possa sembrare; e che lo faccia di mestiere in qualche servizio di accoglienza o che lo prenda come un impegno di volontariato, lo fa prima di tutto per passione e proprio per questo si fa in quattro senza tante storie.

Perché è chiaro: chi si rimbocca le maniche per dare una mano a una persona più povera, riceve come ricompensa la sua amicizia, la sua fiducia, l’affetto. E però, nonostante questo, nonostante tutta la passione, il cuore e la competenza che uno ci può mettere, resta sempre qualcosa di maledettamente incompleto.

Maati, nato nel caldo del Marocco e morto accanto a noi giovedì scorso nel freddo di questo inverno, non merita solo la nostra compassione e la nostra preghiera. A Maati dobbiamo anche essere in qualche modo riconoscenti perché la sua tragica fine ci scuote e ci interroga. Non solo ci ricorda che siamo tutti fragili, come lui (indipendentemente che viviamo al caldo o al freddo, in una casa o in strada) ma ci mette con le spalle al muro, obbligandoci a cercare i perché della sua morte, come ha ricordato il vescovo don Lauro appena appresa la notizia.

Con la sua fuga disperata nel freddo, Maati ci ammonisce che nessuno di noi è onnipotente; nessuno ha la soluzione per ogni problema, nessuno può pensare di essere più bravo degli altri. Nello stesso tempo, però, Maati ci ricorda anche la parola di Gesù: “I poveri li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete”. Quando vogliamo e se lo vogliamo, se davvero ci spacchiamo la testa per inventare solidarietà ai più fragili. E se lo facciamo insieme, credenti e laici, al di là di appartenenze o convinzioni o altro. I poveri sono sempre con noi. In questo senso Maati è ancora con noi, dentro le domande della comunità trentina; e ci interroga, anche con quella sua morte, che ora chiede di trasformarsi in segno di vita.

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