Aveva poco più di vent’anni Charlotte Salomon quando venne inghiottita dalla furia nazista nel settembre del 1943. Una delle moltissime vittime dell’odio e del pregiudizio. La sua unica colpa, essere ebrea.
Sarà solo dopo la sua scomparsa, diversi anni dopo, che per caso verranno scoperti nella casa francese di Villefranche-sur-Mer sulla Costa Azzurra un migliaio di fogli di tempere, testi e altri dipinti di un’artista precocissima che i tempi tremendi che aveva vissuto-lei, i suoi famigliari, tantissimi altri- avevano in qualche modo resa adulta e temprata alle traversie di quel tragico periodo storico.
Una sorta di racconto figurato uscito dalla sua sofferta creatività che i suoi cercarono di contenere in cinque scatole foderate di lino rosso. Ad un certo punto Charlotte parlando di sé in terza persona ricorda una delle massime preferite: “Amore conosci prima te stesso per poter amare il tuo prossimo”. E ancora: “Bisogna prima essere entrati in sé, nella propria infanzia, per poter uscire da sé”.
La sera del 21 settembre ’43 Charlotte venne arrestata e portata ad Auschwitz dove morirà di stenti e di fame dopo poco tempo.
La prima persona a cui i Salomon -diversi anni dopo- mostreranno, per una strana coincidenza, i fogli e i lavori artistici di Charlotte sarà Otto Frank, un ebreo tedesco che si era rifugiato ad Amsterdam. Sua figlia si chiamava Anna.
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