Un anno fa, il 2 febbraio 2020, Papa Francesco pubblicava l’Esortazione Apostolica Querida Amazonia. La situazione di questo tremendo anno, segnato dalla pandemia, con problemi ben più gravi, ha fatto tramontare e dimenticare tante questioni che nel recente passato hanno riscaldato animi e atmosfere. Cose che sembrano ormai distanti secoli. Mi riferisco anche a quella quasi unica tematica che ha tenuto banco sui mezzi di comunicazione nei giorni del Sinodo dei Vescovi sulla regione amazzonica. Quasi ci si dimenticava che le sfide di quel territorio sono quella umana ed ecologica, prima ancora che ecclesiale; sembrava in certi momenti che l’unico problema dell’Amazzonia fossero i preti sposati. Aspetto che poi è stato lasciato in ombra anche in quella Esortazione Apostolica.
La tematica dei “viri probati vel uxorati” (il termine latino che sembra quasi voler nascondere il problema) non è solo dell’America! Qui occorre precisare che nella storia della Chiesa sia d’Oriente che d’Occidente non si è mai concesso il matrimonio ai preti; caso mai si è dato il sacerdozio agli sposati. Che è cosa ben diversa! In questo si fa troppa confusione. Quante parole si sono sentite qua e là, a volte anche con tanta, troppa superficialità, come quando Lucio Dalla cantava: “anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età!”. Ricordo l’intervista a un Eccellentissimo Vescovo cattolico che difendeva il celibato ecclesiastico perché così il prete non ha problemi famigliari e ha più tempo per il ministero. Bella prospettiva! Che dire allora dei diaconi coniugati e di tanti laici sposati e impegnati con generosità e disponibilità nella comunità cristiana e nella società civile? Allora il prete è semplicemente uno scapolone. No; la scelta celibataria, della quale personalmente sono convinto e contento, caso mai, riguarda qualcosa di più profondo e meno superficiale. Essa si accompagna alla missione, che non è mai una semplice professione o un lavoro, del sacerdote, come risposta ad una chiamata personale totalizzante e unitaria: essere come Cristo, per dare tutto a Dio, alla Chiesa, al mondo, senza risparmio e con gioia ed entusiasmo. Così si realizza la vocazione sacerdotale oggi e sempre.
Un pastore protestante valdese, durante la trasmissione radiofonica della domenica mattina, diceva che l’abolizione del celibato dei preti sarebbe un modo per eliminare la sconvolgente piaga della pedofilia tra il clero; altra soluzione discutibile e non sorretta da studi scientifici. Magari bastasse! Certo che vedere il matrimonio come alternativa o rimedio è assai triste! “Cerco una donna” titolavo tanti anni fa un articoletto su Vita Trentina… scherzando perché avevo bisogno di una perpetua, di una colf; ma anche questa sarebbe una triste prospettiva matrimoniale!
Personalmente, lo dico subito, sono convinto fin dagli anni del Seminario, in seguito ad un viaggio in Brasile, che anche la Chiesa cattolica di rito latino dovrebbe riconoscere, come già fa per i suoi preti di rito orientale, anche per tutto l’Occidente una scelta libera. Le due modalità non si elidono vicendevolmente ma si arricchiscono reciprocamente. Il celibato e la verginità consacrata sono un grande dono per la Chiesa e per la società; sono dei grandi valori; come tutti i valori vanno proposti ma non imposti; vanno scelti e vissuti con assoluta libertà, generosità e disponibilità. Nessuno è mai stato costretto a questa scelta che è stata sempre lasciata alla libera risposta personale convinta o accettata. Come sempre ogni scelta di libertà chiede e comporta un’adesione personale convinta e per quanto possibile fedele.
Il prete, come ogni altro cristiano è chiamato ad essere “un altro Cristo”; ma questo non dipende solo dal celibato. Il celibato ecclesiastico va nella linea del dare tutto con fedeltà e generosità al Signore, alla Chiesa e ai fratelli con un cuore innamorato e indiviso, che sa anche fare un sacrificio, come tutti gli sposati e i genitori e non meglio di loro, ma in modo alternativo. Così ce lo ricordano anche coloro che nella vita religiosa o consacrata professano i consigli evangelici. È possibile vivere anche così, ma non è obbligatorio! E anche viceversa. Ricordo che una volta ci doveva essere un incontro di cardinali su questo tema del celibato ecclesiastico; incontrai al cortile di San Damaso un cardinale a cui chiesi un favore: “So che parlerete di celibato”; “Ma è un segreto”, rispose; “Sì lo so; ma le chiedo – gli dissi scherzando – per favore, non obbligateci al matrimonio!”.
IL DOCUMENTO DEL 1969
Il 5 maggio 1969, cioè ormai oltre 50 anni fa, gli studenti di teologia del nostro Seminario di Trento scrissero un documento “Una parola alla nostra Chiesa” sull’identità presbiterale. Erano i giorni del famoso “terremoto” in Seminario. Purtroppo non c’è stato modo di rileggere quel testo nel corso dell’anno 50°, come avrei desiderato per approfondirlo e capirlo meglio alla luce degli sviluppi storici, sociali ed ecclesiali di questo mezzo secolo e ricavarne suggestioni e indicazioni per il futuro. Qualcosa dissero anche sul nostro argomento in modo assai sereno e propositivo, quando, allargando lo sguardo, affermavano con libertà e apertura: «Ci sembra giusto prendere atto fino in fondo che nella Chiesa ci possano essere dei veri ministri, con delle loro competenze e uffici per la comunità, senza con ciò stesso essere computati fra i presbiteri (cfr. i diaconi); come pure ritenere che la funzione presbiterale non comporti una posizione sociale che riunisca in sé automaticamente tutti e soli gli elementi tradizionali del chierico-sacerdote: stretta e pregiudiziale appartenenza al gruppo sociale distinto e compatto del clero; una occupazione ‘pastorale” esclusiva e professionale; uno stile di vita, di cultura teologica e di spiritualità integralmente “sacerdotali”; il carisma del celibato come condizione assoluta a priori. Auspichiamo piuttosto la possibilità dell’esistenza di ministri presi dai diversi gruppi sociali e lasciati nel loro stato di vita: operai, insegnanti, professionisti, ecc., celibi, sposati o vedovi. In fondo anche praticamente questa auspicata differenziazione e pluralità di presenze non è mai scomparsa del tutto dalla Chiesa: come non sono mai mancati ad esempio, dei teologi laici e dei religiosi non ordinati, così fra i preti vi furono sempre di quelli che esercitavano una professione di insegnamento profano, un compito di recupero e di assistenza sociale, anche un lavoro manuale. Così i preti sposati sono sempre esistiti legittimamente nella Chiesa, e non come delle eccezioni da tollerarsi».
Non credo neppure che la prospettiva del matrimonio, congiunto al sacerdozio, sia una via per far aumentare le vocazioni sacerdotali, che hanno ben altre vie di chiamata, di maturazione e di risposta. Come dice ancora il documento del 1969, citando un autore del tempo, in una prospettiva più ampia di ministerialità: «Il ministero ordinato deve essere tale da stimolare, e non soppiantare tutta una varietà di altri ministeri nella Chiesa, missionario, profetico, e quelli che sono legati al servizio sociale…».
LA “COMPAGNIA” PER UN PRETE
In questi giorni di clausura obbligatoria per tutti, anche i preti sono soli. Ci manca la “compagnia” delle nostre comunità e quel contatto vero e reale, continuo e a volte incessante con la gente. “Non è bene che l’uomo sia solo”: le parole della Genesi risuonano ancora vere per tutti; normalmente come preti, pur essendo dei single, non siamo quasi mai soli! A quanti di noi preti capitava di essere in giro tutte le sere e adesso tutte le sere a casa.
Allora, forse ancora di più si può accentuare la solitudine di un prete che è senza la sua comunità, se non in modo virtuale, a distanza; surrogato di una comunione vera e reale fatta di vicinanza e relazioni belle. Forse per alcuni di noi manca qualcuno con cui conversare, stare insieme anche concretamente. Mi sono di testimonianza tanti diaconi permanenti, che ho incontrato e conosciuto in questi anni, che vivono con le loro mogli in totale comunione di vita. Anche se le consorti non sono ordinate, partecipano alla vita e alle attività pastorali dei loro mariti e soprattutto pregano con loro quotidianamente e ne condividono il ministero.
Forse anche questa sta diventando una scuola, un esempio, una prospettiva. Essere preti anche oggi è bello nel celibato, ma forse un domani anche nel matrimonio.
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