Il lavoro è una via privilegiata per la realizzazione di se stessi all’interno della comunità. Di questo Piergiorgio Cattani era profondamente convinto, lo aveva vissuto in prima persona, lui diverso, inchiodato dalla malattia all’interno di un corpo che non poteva seguirne i voli del pensiero, ma realizzato come giornalista, libero pensatore, opinion maker, catalizzatore di partecipazione alla vita sociale e politica della realtà trentina, e non solo. Per Cattani il lavoro era un modo per affermare il suo essere persona, prima che disabile. Per lui, come per tutti, lavorare era un modo per sviluppare le sue potenzialità, per mettere a frutto ciò che aveva imparato.
Proprio sul tema del lavoro avrebbe voluto incentrare la periodica occasione di incontro della redazione e degli amici di Unimondo, la testata on line di informazione sulle questioni globali di cui era direttore (www.unimondo.org). Come cambia in tempi di pandemia il modo di relazionarci al lavoro? La necessità di reinventarsi in un mondo in continuo cambiamento come si concilia con un lavoro dignitoso, in grado di soddisfare gli aspetti più personali del lavoratore e di valorizzare la sua vivacità e la sua creatività? Andremo verso un lavoro sempre più individuale o c’è ancora spazio per una dimensione collettiva, cooperativa del lavoro? Sono le domande che Cattani aveva posto nell’invito, già pronto nel suo computer, a quello che considerava un indispensabile momento di riflessione e di confronto. Anche se lui non c’è più, l’appuntamento non è saltato e si è svolto martedì 15 dicembre in via telematica, allargato anche a un gruppo di insegnanti che partecipano al percorso formativo della World Social Agenda promossa dalla Fondazione Fontana per approfondire l’Agenda 2030 dell’ONU e centrata quest’anno sul tema dell’inclusione, anche attraverso il lavoro. “Abbiamo voluto proporre questo tradizionale momento di confronto proprio partendo dalle sollecitazioni che Piergiorgio ci ha lasciato”, spiega Pierino Martinelli, direttore della Fondazione Fontana di Trento e Padova.
A parlare del rapporto tra lavoro e costruzione dell’identità personale, di lavoro dignitoso e di soddisfazione del lavoratore è stato chiamato Domenico Barrilà, psicoterapeuta e analista adleriano, impegnato oltre che nell’attività clinica anche in una feconda produzione editoriale. Barrilà, autore tra l’altro del fortunato I superconnessi, sul rapporto di ragazzi e ragazze con la tecnologia, ha condiviso la sua preoccupazione per gli effetti del lavoro a distanza, lo smart working, che avrà pure il vantaggio di essere sostenibile, di “far bene” all’ambiente e di permettere di conciliare i tempi e le esigenze della famiglia con i tempi e le necessità del lavoro, ma ha un difetto tutt’altro che trascurabile: fa mancare totalmente la dimensione relazionale del lavoro, quel confrontarsi col vicino di scrivania o con il collega di reparto, che è invece il valore aggiunto del lavoro in presenza. Perché un conto è lavorare, da remoto, sullo stesso file, un altro è operare sulla stessa scrivania, discutendo e magari dandosi di gomito.
Il lavoro è anche un indicatore della capacità di inclusione di una società. Cattani ne era profondamente convinto: è una società capace di includere quella che sa valutare le persone più per le loro potenzialità che per le loro difficoltà.
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