Intorno alle 5 del pomeriggio – ora italiana – del 25 novembre il mondo si è fermato. Dalla stampa argentina si era appena diffusa una notizia, non subito confermata: è morto Diego Armando Maradona.
L’ufficialità è arrivata poco dopo, e anche chi non segue il calcio non ha potuto fare a meno di dedicare un pensiero a una figura che, nel bene e nel male, va molto oltre il gioco del pallone. Il numero 10 per eccellenza non è stato soltanto il più grande calciatore di tutti i tempi: per la sua storia, il suo carisma e la sua capacità di rialzarsi sempre e comunque, superando i tanti ostacoli della vita, è diventato un simbolo, un’icona e un riferimento, in Argentina e non solo. Non stupisce quindi che la sua scomparsa abbia colpito tutti, anche chi per ragioni anagrafiche non lo ha visto giocare, riempiendo i palinsesti tv, i giornali, e i social, ma anche le strade e le piazze di Napoli e Buenos Aires, le due città che con “el Diez” avevano stabilito un legame particolare. Alle suggestive immagini napoletane, dove, per ricordare Maradona, a cui sarà intitolato lo stadio San Paolo – ha annunciato il sindaco de Magistris -, il tifo ha sfidato il rischio assembramenti, si sono unite quelle di Buenos Aires, con migliaia di persone a voler dare l’ultimo saluto al Pibe de Oro. Un fiume di argentini ha invaso la camera ardente, allestita presso Casa Rosada, la sede del Governo, che a Maradona ha voluto tributare onori quali forse si riserverebbero neppure a un Capo di Stato.
“Bisogna capire ciò che è stato Maradona per l’Argentina”, ci racconta da Mendoza Attilio Bailoni, trentino, che da anni vive nel Paese latinoamericano, dove lavora presso la comunità del Movimento dei Focolari. “Maradona rappresenta il simbolo del riscatto per tanta gente nata come lui in assoluta miseria. Quando, grazie ai suoi due gol, l’Argentina ha eliminato l’Inghilterra ai mondiali del 1986, era finita da pochi anni la guerra delle Malvinas. Per gli argentini è stata una rivalsa stratosferica: Maradona ha significato la rinascita dell’orgoglio di tutta una nazione; non è stato solo un gol o una partita di pallone, e neppure vincere un mondiale, ma molto di più”.
Oltre al valore simbolico di Maradona uomo e giocatore, c’è un aspetto riconosciuto da tutti in Argentina, persino dagli intellettuali più distaccati dal mondo del calcio, conferma Bailoni: “Ha saputo dare alla gente un momento di gioia nel grigiore della vita e nelle difficoltà, anche economiche, che tanti vivono, in un Paese che da anni si trascina nei suoi problemi”, continua, pensando a quando è stata l’Italia ad aver vinto i Mondiali: “Ci siamo sentiti tutti contenti, siamo scesi in strada ad abbracciarci. Anche se i problemi restano in quei momenti ci si sente tutti migliori”.
Un senso di unità nazionale che ha legato l’Argentina nel trionfo sportivo e oggi nella tristezza dei tre giorni di lutto nazionale. “Ma le tensioni e le divisioni non hanno permesso di approfittare di una situazione che avrebbe potuto ricucire il Paese”, rimpiange Bailoni, riferendosi alla foto, che ha fatto il giro del Mondo, dei due tifosi di Boca Juniors e River Plate, squadre divise da un’acerrima rivalità, abbracciati nel pianto: ”Perché Maradona è di tutti, non apparteneva a un partito o all’altro, a una classe sociale o all’altra. Tutti lo amavano, dai più poveri ai più ricchi”.
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