A Trento c’è un gruppo di undici persone attive a vario titolo nell’associazionismo e nei gruppi di acquisto solidale che sta sondando il terreno per fondare un emporio di comunità. Ma come potrebbe inserirsi questa nuova realtà nella nostra città? Lo abbiamo chiesto a Jacopo Sforzi, ricercatore di Euricse, Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale.
Come potrebbe inserirsi un emporio di comunità nella nostra città?
Una città come Trento ne potrebbe beneficiare dato che gli empori di comunità cercano di privilegiare prodotti e produttori del territorio, valorizzando quelle piccole produzioni locali che spesso fanno fatica ad arrivare nella grande distribuzione.
Quali sono i punti di forza di un’attività del genere?
Il valore aggiunto degli empori di comunità è la capacità di offrire un modello di consumo differente rispetto alla grande distribuzione, più consapevole e partecipato. Consapevole perché sposano la sostenibilità ambientale, economica ma anche sociale. Partecipato perché il socio deve prestare tre ore al mese di volontariato all’interno dell’emporio per sviluppare e gestire le attività e stimolare le relazioni che si creano attorno al consumo di beni.
Quali sono invece i punti critici?
Un esempio può essere la mancanza di fiducia tra produttori e consumatori, se non viene comunicato bene il valore aggiunto del sociale, il rischio è che ci sia un emporio che si limita a vendere i prodotti coinvolgendo però pochi soggetti. Per funzionare bene c’è bisogno di un lavoro di comunicazione dei valori sociali che stanno dietro a questi modelli.
A Bologna, a fine 2018, è nato il primo emporio di comunità? In questi mesi sono nate nuove realtà simili in Italia?
Certamente, è un modello che si sta sviluppando a livello nazionale. Il vantaggio di questi minimarket è il loro radicamento all’interno dei quartieri: se i grandi supermercati possono risentire delle limitazioni dettate dalla pandemia, gli empori di comunità hanno beneficiato di questa situazione.
Euricse ha recentemente avviato una ricerca sulle “comunità intraprendenti”, anche gli empori di comunità rientrano in questa categoria?
In questa nuova ricerca guardiamo a quei modelli di tipo imprenditoriale o associativo che vedono gruppi di cittadini auto-organizzarsi per rispondere a bisogni sociali ed economici. Gli empori di comunità ci rientrano tranquillamente, perché rispetto ad una cooperativa di consumo tradizionale, dove il consumatore difficilmente entra nella gestione, l’emporio è una comunità fatta di cittadini che cercano di rispondere a dei bisogni.
In che modo la pandemia ha influenzato il comportamento dei cittadini all’interno delle comunità o cambiato il ruolo delle comunità stesse?
Essere costretti a muoversi all’interno della propria comunità e del proprio territorio ha permesso di riscoprire relazioni e dinamiche come i negozi di vicinato, soprattutto nelle piccole realtà, dove in assenza di servizi primari sono stati gli stessi cittadini che si sono dovuti auto-organizzare. Bisogna capire se è una dinamica nata dall’urgenza del momento o se può portarci a sviluppare modelli legati non solo alla crescita economica ma anche allo sviluppo sociale e della qualità di vita delle persone. In questo caso l’emergenza potrebbe spingerci a riscoprire certi valori o trovarne di nuovi.
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