Ormai il 3 novembre è alle porte. Più che agli americani le elezioni presidenziali sembrano creare grandi preoccupazioni fra gli europei. Che cosa potrebbero significare altri 4 anni con Donald Trump presidente?
Mai come oggi i rapporti fra Stati Uniti e Unione europea sono stati di così basso livello. A mancare del tutto è la fiducia che da oltre 70 anni, pur fra alti e bassi, ha tenuto in piedi un’alleanza che non era solo di interessi economici, ma di profondi valori di libertà e democrazia.
Una ricerca della americana Fondazione Pew ha messo in luce che in 13 democrazie del mondo prese in esame la fiducia in Trump va dal misero 9% in Belgio al massimo del 25% in Giappone (in chiave anticinese).
Dal giorno della sua apparizione alla guida della più grande potenza mondiale Trump ha in breve tempo cambiato tutto lo scenario globale. Con il suo slogan ipernazionalista “America First” ha cominciato a demolire i grandi accordi internazionali, da quello faticosamente raggiunto a Parigi sul clima a quello altrettanto cruciale con l’Iran sul controllo nucleare. Ultimamente, in piena pandemia, si è ritirato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il tutto senza mai consultare i suoi tradizionali alleati occidentali. Un vero e proprio assalto al multilateralismo e alle sue regole volte a risolvere i potenziali conflitti attraverso ripetuti negoziati e compromessi. Chiaramente un modo di procedere che all’impaziente e sprezzante presidente americano non è mai andato a genio.
Né è stato digerito dagli europei il suo corteggiamento a leader autoritari, dal dittatore del Nord Corea Kim Jong-un a Vladimir Putin, da Recep Tayyip Erdogan all’unico europeo suo ammiratore, Viktor Orbàn, accusato di violazione dei diritti democratici e di libertà. Per di più un corteggiamento senza mai ottenere nulla in cambio, come è stato ampiamento dimostrato dal fallimento delle sue trattative sul ritiro delle armi nucleari da parte di Kim Jong-un.
A peggiorare le cose è poi intervenuta la sua decisione di riprendere la corsa al riarmo nucleare e a denunciare di conseguenza i trattati sottoscritti in tempi passati, prima con l’Unione sovietica e poi con la Russia.
E’ abbastanza evidente, quindi, che di fronte a questi comportamenti caotici, privi di una vera e propria strategia comprensibile, al di là del nazionalismo americano, l’UE si sia trovata completamente spiazzata. Non erano più i valori e la fiducia reciproca, anche nel campo della sicurezza militare rappresentato dalla Nato, a contare. Erano invece i semplici interessi e convenienze commerciali e finanziarie a sostanziare il rapporto transatlantico. La prima ad accorgersene è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel che, dopo il fallimentare G7 di Taormina nel 2017, dichiarò che l’UE non poteva più contare sul suo alleato americano e di conseguenza essa doveva “prendere il destino nelle proprie mani”. Cosa mai realmente avvenuta perché, malgrado l’allontanamento dell’amministrazione di Washington, gli europei non hanno fino ad oggi avuto la forza e la capacità di delegare la politica estera e di sicurezza a Bruxelles.
Ulteriori 4 anni di Trump non farebbero quindi altro che portare a termine un disegno, pur senza strategia alternativa, di progressivo deterioramento della grande alleanza transatlantica del passato e ad un ulteriore indebolimento nella difesa dei valori democratici dell’Occidente. A cominciare dagli stessi Stati Uniti che, da riconosciuta àncora della democrazia, stanno manifestando già oggi preoccupanti segnali di un’involuzione del loro sistema democratico interno. Un timore alimentato dallo stesso Trump, che in caso di sconfitta elettorale si dice pronto a non “concedere” la vittoria al suo sfidante, ma ad aprire una lunga contesa giudiziale e politica per non riconoscere l’eventuale risultato avverso. L’avere avanzato questa minaccia rappresenta essa stessa per il sistema americano un “vulnus” non secondario sulla solidità delle sue istituzioni e procedure democratiche.
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