Alla vigilia della convocazione missionaria della Chiesa trentina domenica 25 ottobre a Sanzeno vorrei condividere anche con i lettori del settimanale diocesano alcune note sulla recente enciclica Fratelli, tutti.
Papa Francesco introduce il tema della fraternità a partire dalla parabola del Buon Samaritano (inserita nel discorso missionario ai “settantadue”), nella quale la compassione e il “prendersi cura dell’altro” vengono presentati da Gesù come l’anima della missione.
Noi missionari dobbiamo riconoscere che l’invito alla fraternità e alla compassione, pur essendo un comandamento antico quanto il Vangelo, non è sempre stato praticato nel corso della missione ad gentes. Pur impegnati fino all’eroismo in molti progetti di liberazione e di formazione alla giustizia, noi missionari siamo stati vittime, spesso inconsapevoli, dell’impostazione colonialista della missione ad gentes, e non riusciamo sempre a liberarci dai complessi di superiorità e di conquista del passato per assumere la logica dell’ascolto, del dialogo e della fraternità. Per questo dobbiamo essere riconoscenti al Papa.
Dopo aver parlato del progetto di un mondo aperto e di un cuore aperto, della necessità di una migliore politica, di una nuova cultura fondata sul dialogo e dopo aver delineato i percorsi per una fraternità intesa come incontro, nel capitolo VIII di Fratelli tutti Francesco tratta del contributo che le religioni possono dare alla crescita della fraternità nel mondo. Per questo richiama i missionari al dialogo interreligioso che in questi ultimi tempi sta entrando alla grande nella missione (nn. 271-287). Riafferma il valore delle diverse religioni, già affermato dal decreto conciliare Nostra Aetate e, affermando che il loro valore si fonda sulla realtà della figliolanza divina che caratterizza tutti gli esseri umani, dichiara che tutte le religioni possono offrire “un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società” (271-272).
Il dialogo interreligioso “costringe” la Chiesa a ritrovare la sua identità in una continua conversione verso una Chiesa aperta, missionaria, «una casa con le porte aperte perché è madre» (276) in grado di entrare in un fiducioso e sincero dialogo con le altre religioni. In questa prospettiva aperta, la Chiesa deve apprezzare l’azione di Dio nel cuore dei fedeli delle altre religioni delle quali non rigetta nulla di quanto esse hanno di vero e di santo. Senza rinnegare la propria identità e senza forzare le coscienze, la missione cristiana deve dialogare con le altre religioni nella convinzione che questo concorre alla fraternità universale e al mantenimento della pace.
Il Papa, che molte volte ha affermato che “la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione”, individua nella fraternità e nella comunione ecclesiale quella bellezza che rende attraente il messaggio evangelico che il missionario propone agli altri.
Nell’enciclica c’è anche una chiara condanna di ogni forma di violenza in nome di Dio e la proclamazione della libertà religiosa da chiedere e da concedere alle minoranze (281) come pure la denuncia del fatto che spesso forme di oltranzismo e di fondamentalismo fino alla violenza vengono purtroppo dall’imprudenza dei leader religiosi (284). Il ritorno sapiente alle proprie fonti potrà aiutar a vincere il fondamentalismo e a trovare la strada del dialogo e della fraternità.
Il dialogo interreligioso è oggi una strada obbligata della missione ad gentes anche se non è ancora del tutto accettata da tutti.
Come abbiamo visto anche martedì 20 ottobre in Campidoglio nell’incontro con i leaders religiosi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, il Papa ci dà l’esempio percorrendola coraggiosamente pur fra le critiche di certi vescovi e cardinali, perché è convinto che questa sia la strada del futuro della missione della Chiesa. Questo conferma anche noi missionari, che da tempo dichiariamo – controcorrente – la necessità del dialogo interreligioso. Anche per questo ringraziamo papa Francesco.
padre Gabriele Ferrari
missionario saveriano trentino
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