Mando a “Sentieri” una riflessione che ho fatto con amici e amiche in occasione di un casuale e raro incontro di piazza. La mascherina fa male o bene? Il tampone è rischioso? Leggo tante richieste di delucidazioni – e tanti pareri in risposta – ma niente che possa mettere la parola fine a tutti questi dubbi. Non dimentico che stiamo attraversando il periodo di caos che contraddistingue la fase terminale d’un ciclo storico. In questa fase si hanno certezze solo se si è nella totale ignoranza oppure se si è dei maestri spirituali, per tutti gli altri – la categoria di mezzo – c’è il caos: non ti fidi più dell’informazione di Stato, ma non sei ancora entrato nell’intuizione animica (di consapevolezza personale) , quindi non sai che pesci prendere.
Antonio Marchi – Trento
Caro Marchi, è vero che questa epidemia virale coincide con la fase di chiusura di un ciclo storico, quello dell’Occidente consumistico, globalizzato, nevroticamente affannato. Non a caso il vero simbolo ne è diventata la sterile “movida”. Ed è vero che nelle fasi terminali della storia, fra le certezze degli ottimisti (si aspettano sempre che la scienza risolva il futuro, aprendolo a “magnifiche sorti e progressiste”) le diffidenze verso le informazioni ufficiali (la nostra generazione non ha dimenticato i depistaggi degli anni Settanta) e gli insegnamenti di più o meno buoni maestri (le “new age” di spiritualità, che sono millenaristicamente antiche, i ripiegamenti parapsicologici, le fughe nel privato dei “conventi”, ora laici, o nelle isole deserte) si apre uno spazio al Caos, che poi si esprime con le “superstizioni di ritorno”, tanto frequenti e diffuse.
Ecco allora i no-vax (dopo che i vaccini hanno salvato intere generazioni di bambini) ed ora i no-mask, per non dire dei tanti pregiudizi alimentari o del fai-da-te dei farmaci in tv. E’ un labirinto, un terreno minato, che in molti desta meraviglia: “Ma come, in un’epoca “scientifica”, che si consegna all’intelligenza artificiale, rinunciando perfino al buon senso, ci si affida a credenze del tutto improbabili”? Eppure è così, è sempre stato così nei tempi di incertezza e paura. Alla fine del primo millennio i timori per la fine del mondo crearono movimenti dalle azioni sconsiderate, così come il virus, segnando la fine di un’epoca, porta oggi ad aggrapparsi agli esorcismi. C’è chi nega l’evidenza (come fanno gli struzzi e i bambini) e chi invece rivendica una superiorità un po’ fascistoide da “superman” (non solo ai bar, anche fra i più titolati Trump e Bolsonaro … “me ne frego del virus”…).
Non c’è da meravigliarsi dunque, ma c’è da reagire. Perché proprio se si vuole avviare una nuova “fase storica” (e il virus ne è il segnale di necessità) se si vuole tenere aperta la speranza di diventare tutti un po’ più fratelli, salvare il pianeta e non uccidersi ogni giorno, è meglio evitare di cadere vittime del virus, come di restare prigionieri dei saccheggiatori. Certo ci vuole anche un po’ di fortuna.
Questo virus è imprevedibile, dispettoso, nello stesso gruppo di persone sembra colpirne alcune risparmiandone altre, ma s’è visto, in aprile e maggio, che le mascherine e i distanziamenti servono, che i tamponi (un pizzicotto al naso che subito passa) sono utili a tracciarlo.
Le mascherine non fanno male, sono un po’ moleste, ma non più di tanti orpelli che si indossano per apparenza o per sicurezza (le cinture dell’auto, le corde in montagna …). Sono anche un segno di rispetto per chi sta vicino e rivendicano libertà a chi le indossa, perché solo se “gli altri” non ricevono e diffondono il contagio è possibile restare liberi delle proprie azioni, delle proprie giornate. La mascherina ricorda che “siamo fatti degli altri” e che, come citano i Maestri, “non ci si può salvare da soli”.
La cosa, peraltro, che più colpisce, e stupisce, è che molte reazioni a questi inviti di prudenza, in fondo banali, vengano da ambienti che si considerano progressisti, libertari o alternativi. Perché al di là di tutte le considerazioni, è chiaro che il virus ha origine dal disordine di una società che saccheggia l’ambiente invece di tutelarlo, dalla promiscuità che moltiplica i contagi, dalla distruzione degli spazi liberi e dei diaframmi naturali, dagli allevamenti intensivi imposti dal “mercato”, dalla mancanza di controlli: sugli aerei stipati dove guardavano se avevi in tasca un temperino, ma non facevano neppure pulire le suole delle scarpe che veicolavano insetti e semi nocivi.
Così non basta “vincere” il virus (i vaccini saranno utili, ma non sono la pozione magica che risolve tutto d’un colpo) ma occorre cambiare innanzitutto comportamenti, relazioni. Perché non c’è solo il Covid 19. In realtà siamo circondati dai virus dovuti all’incuria ambientale, ed il moltiplicarsi delle malattie nelle piante, accanto a quelle nell’uomo, ne costituisce la conferma: gli scopazzi, la cimice asiatica, il colpo di fuoco delle mele, la xylella degli ulivi, non sono casuali, per non dire i “supervirus” plasticati che uccidono il mare e i suoi pesci … Solo mutati comportamenti individuali, non decreti e “grida”, come ben sapeva già il Manzoni nel descrivere la peste di Milano del 1630, potranno salvare il mondo. E noi stessi.
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