La politica italiana è chiusa in una morsa di ferro fra pandemia, in netta ripresa, e confusione politica che cresce in parallelo. Il premier Conte prova a riprendersi il palcoscenico con interventi sui giornali e gestione delle comparsate nei TG, ma non ha più lo smalto del febbraio-marzo. Dipende dal fatto che ormai l’opinione pubblica ritiene di aver fatto il callo alla convivenza col Covid e che sappia già come deve più o meno comportarsi. Il governo del resto non mostra una linea di comportamento sicura: oscilla fra misure improbabili (le mascherine da indossare in casa e il controllo delle presenze domestiche) e misure chiaramente debitrici di qualche concessioni alle lobby (chiusura di bar e ristoranti a mezzanotte, orario piuttosto improbabile per un contenimento degli assembramenti).
Le preoccupazioni per un fenomeno che ci si illudeva di poter tenere sotto controllo e che invece deflagra in tutto il mondo sono in crescita esponenziale e le risposte alle volte sembrano semplicemente cervellotiche. Tanto per dire: davvero si potranno ridurre le capienze dei mezzi pubblici al 50% delle potenzialità, quando si sa benissimo che non si è in grado di raddoppiarne il numero? Oppure: ha senso spostare all’insegnamento da remoto la formazione negli ultimi anni delle superiori, quando si è capito che il rischio di mandare all’università una generazione con gravi carenze di preparazione (non recuperabili nel sistema accademico attuale) è mortale per un paese che dovrà scommettere su una economia della conoscenza?
La politica non sa rispondere a queste preoccupazioni diffuse. Le opposizioni si accontentano di mettere sotto processo il governo per le sue debolezze, ma di proposte veramente pensate e alternative non sa metterne in campo. Le forze di maggioranza continuano ad essere paralizzate nello svolgimento di un’opera di educazione verso il pubblico dalle loro liti interne e soprattutto dalla confusione che regna fra i Cinque Stelle. Tutti cercano di distrarsi un poco dedicandosi allo sport delle polemiche su chi candidare alle comunali di Roma, città giustamente ritenuta un simbolo (ahimè, delle debolezze della nostra vita politica). Il centrodestra sembra voglia provare la carta di gettare nell’arena il conduttore televisivo di successo: secondo alcuni Massimo Giletti, secondo altri Nicola Porro. Qualcuno dovrebbe ricordare il flop dei Cinque Stelle nel candidare Paragone, sebbene i due personaggi citati, specialmente il secondo, siano piuttosto differenti da lui.
Il centrosinistra, ma meglio sarebbe dire il PD non trova chi mettere in campo. Vari big interpellati si sono sfilati (e perché dovevano scegliere di bruciarsi la carriera?), in campo c’è la spigolosa autocandidatura di Calenda, personaggio tosto, ma certo non tale da favorire quell’alleanza strategica coi pentastellati su cui continua a puntare Zingaretti. I Cinque Stelle fanno melina non tanto per sostenere la Raggi, che tutti sanno essere perdente in partenza, quanto per scambiare la casella romana con quella di qualche altra città.
Ma è politica questa roba, che oltretutto riguarda una competizione che si svolgerà la prossima primavera, in condizioni che nessuno sa prevedere quali saranno? Ci sarebbe piuttosto da occuparsi di come fare una buona legge finanziaria, che già richiede uno scostamento dai limiti del deficit, decisione che richiede un voto parlamentare con una maggioranza rafforzata, cosa non certissima in senato. E poi ci sarà da mettere nero su bianco una previsione di bilancio in deficit senza sapere quando e in che misura arriveranno i fondi del Next Generation UE. Del Mes è vietato parlare per non turbare i sonni e i sogni dei pentastellati, mentre si vede chiaramente quanto ci sarebbe bisogno di finanziamenti per modernizzare la sanità, specie al Sud.
Sono argomenti sui quali si preferisce sorvolare. Mattarella chiede, con la discrezione istituzionale che lo contraddistingue, di costruire una solidarietà nazionale, e non solo e non tanto con l’opposizione, ma non è aria: il premier e un po’ di suoi ministri sono sempre lesti a dire che è esattamente ciò che vorrebbero fare, senza però muovere un dito perché si arrivi a qualche soluzione.
I cinici che prestano qualche distratta attenzione a quanto scriviamo ci invitano ad essere realisti e ad avere pazienza: il tempo sistemerà ogni cosa. Noi però abbiamo difficoltà a credere che questo sia realismo e non piuttosto l’illusione che il nostro stellone sistemi tutto. Illusione simile a quella che si aveva quando si sosteneva che la seconda ondata di Covid non sarebbe arrivata e non ci sarebbe stata nessuna crisi.
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