Domenica 4 ottobre – Domenica XXVII ANNO A
Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
Gesù torna nel tempio dopo aver compiuto il gesto della cacciata dei mercanti (cf. Mt 21,12-17), per annunciare con parabole la venuta del regno dei cieli.
Oggi ascoltiamo la seconda di queste parabole, in realtà un’allegoria, indirizzata a quei sacerdoti e anziani del popolo che erano venuti a contestare Gesù interrogandolo sulla sua autorità, sull’origine della sua missione (cf. Mt 21,23-27). Ancora una volta Gesù ripete l’invito: “Ascoltate!”, ridice questo comando tante volte gridato da Mosè e dai profeti. Si tratta di smettere di sentire soltanto, per imparare ad ascoltare con attenzione una parola che viene dal Signore e che ci invita a operare un mutamento nella nostra vita per continuare ad essere in amicizia con Lui. Gesù racconta la storia di un padrone «che aveva piantato una vigna» nel suo terreno. Tutti capiscono subito di cosa si tratta: è una storia su Dio e su Israele, sua vigna. Isaia aveva cantato «il canto di amore dell’amante per la sua vigna» (Is 5, 1-7), raccontando di un vignaiolo che aveva vangato la terra, l’aveva liberata dai sassi e vi aveva piantato ceppi scelti di vite. L’aveva addirittura ornata con una torre in cui aveva posto un tino. Avendole dedicato tanta cura, si aspettava da essa uva buona e bella, invece quella vigna si era inselvatichita producendo grappoli di uva immangiabile. Ebbene, questo proprietario della vigna, che l’ha piantata e l’ha dotata di tutto il necessario perché fruttifichi, la affida a dei contadini perché la lavorino in sua assenza: la vigna continua a essere sua proprietà, ma è affidata ad altri uomini fino al suo ritorno. All’ora della vendemmia il padrone manda alcuni suoi servi dai vignaioli per ritirare il raccolto. Ma quelli, abituati ormai a spadroneggiare nella vigna che non è loro, reagiscono con un rifiuto violento. Il padrone arriverà a inviare il figlio. Quei vignaioli, “al vedere il figlio”, aumentano ancora di più il desiderio di essere padroni, perciò dicono tra sé: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Innanzitutto escludono il figlio dalla sua vigna, prendendolo e gettandolo fuori, poi lo uccidono; prima lo portano “fuori”, fuori dalla vigna, fuori dalla città (cf. Lc 4,29; Mc 15,20; Mt 27,31; At 7,58), poi lo eliminano. «Anche nella chiesa può accadere come nella parabola. E, se anche in essa non si manifesta la violenza fisica (come però è purtroppo avvenuto in altre epoche storiche!), oggi magari si pratica la violenza del non ascolto, del rifiuto, dell’emarginazione, della calunnia, del disprezzo, della manipolazione, dell’abuso psicologico. Queste le tentazioni dei vignaioli perfidi, ma anche, qui e ora, di chiunque nello spazio ecclesiale, nella vigna, esercita l’autorità». (Enzo Bianchi) Le terribili parole finali del Vangelo di questa domenica: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt.21,43) devono far riflettere anche noi. Non sappiamo quale sarà questo popolo. E’ certo però che il grido di giustizia non andrà perduto, perché Dio troverà sempre qualcuno cui affidarlo dentro la storia degli uomini. «Alla testardaggine dei contadini infedeli si contrappone, alla fine, la testardaggine di Colui che, quando gli uomini tradiscono le sue aspettative, è capace di persino di far parlare un’asina (quella di Balaam nel libro dei Numeri)» perché il bene non vada perduto.
E secondo voi? So di essere «servo» e non padrone nella mia comunità, anche se vi esercito un qualche ministero? Riesco a vedere l’opera di Dio oltre la mia comunità, nel mondo?
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