15 mila pezzi di munizionamento per cluster bombs (bombe a grappolo), importati da Singapore – l’autorizzazione è del 2018 -, ma i cui utilizzatori finali non sono noti. E l’esportazione a Malta, autorizzata nel 2017, di un consistente lotto di mitragliatrici e pistole, di cui anche in questo caso non si conosce la destinazione finale. Sono le due operazioni di import-export di materiali militari svolte dall’Agenzia Industrie Difesa (AID) che l’Osservatorio OPAL (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia) e la Campagna per la messa al bando delle mine insieme alla Rete italiana per il disarmo chiedono al Parlamento di mettere sotto la lente, paventando il rischio che queste ed altre simili operazioni finiscano per favorire il mercato “grigio”, semilegale delle armi bandite dalla comunità internazionale.
La preoccupazione nasce dalla lettura dello studio “L’Agenzia Industrie Difesa e le operazioni di importazione ed esportazione di armamenti”, diffuso venerdì 11 settembre in occasione del trentesimo anniversario della legge n. 185 del 1990 sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento e realizzato da Carlo Tombola e Giorgio Beretta, rispettivamente coordinatore scientifico e analista dell’Osservatorio OPAL, che analizza l’attività dello Stato italiano come attore nel mercato degli armamenti e in particolare le operazioni dell’Agenzia Industrie Difesa, ente di diritto pubblico che agisce per conto del Ministero della Difesa.
Lo studio solleva più di qualche interrogativo circa la conformità di alcune operazioni di importazione ed esportazione di materiali militari. “L’AID – spiega Carlo Tombola – è attiva dal 2014, svolgendo nei primi anni soprattutto un’attività di vendita dei ‘surplus’ di armamenti pesanti e di munizionamento, mentre nel 2018 e 2019 mostra un forte incremento dell’attività di importazione. Tra i Paesi da cui AID sta maggiormente importando materiale militare risultano Singapore e Taiwan, Paesi che non hanno aderito né alla Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antipersona, né alla Convenzione di Oslo contro le bombe a grappolo e tanto meno al Trattato internazionale sulle armi convenzionali. L’Italia, acquistando materiali da questi Paesi, rischia così di rafforzarne l’economia militare e favorire il mercato ‘grigio’, semilegale delle armi bandite dalla comunità internazionale”.
“Anche altre operazioni di esportazione di materiali militari compiute da AID che abbiamo dettagliato nello studio – aggiunge Giorgio Beretta – vanno sottoposte all’attenzione del Parlamento in quanto alimentano un ‘mercato dell’usato’ che può essere facilmente suscettibile di diversioni e triangolazioni”. Osserva Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo: “L’analisi dei casi e dei dati condotti in questo studio dimostra ancora una volta il pericolo che il nostro Paese diventi un percorso facilitato per export di armamenti non controllati e problematici. È fondamentale che il Parlamento continui a occuparsi approfonditamente della questione e richieda un esame dettagliato di tutte le operazioni di esportazione di qualsiasi natura”. “Non è accettabile – aggiunge – che possano esistere buchi nei controlli o norme che facciano diventare l’Italia un ponte per esportazione di materiali militari in zone del mondo in cui sono presenti conflitti o violazioni dei diritti umani”.
La Campagna italiana contro le mine antipersona con il suo direttore Giuseppe Schiavello sollecita il Parlamento a riprendere l’esame del ddl C.1813 “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni a grappolo”, fermo dall’aprile 2019 alla commissione Finanze della Camera, dopo l’approvazione all’unanimità delle modifiche che ne hanno sanato il vulnus costituzionale motivo, tre anni fa, del rinvio alle Camere. La legge definisce gli strumenti di controllo e contrasto al sostegno finanziario alle imprese straniere produttrici di ordigni già banditi dal nostro Paese attraverso operatori finanziari autorizzati.
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