Domenica XXIII anno A
Ez 33, 7-9; Sal.94; Rm 13, 8-10; Mt 18, 15-20
Nella prima lettura che la liturgia ci presenta oggi (Ez.33,1.7-9) viene detto al profeta Ezechiele di essere sentinella, custode, voce per i fratelli. Paolo, nella seconda lettura, (Rom. 13,8-10) ricorda che tutti abbiamo un solo debito nei confronti degli altri: l’amore reciproco. Anche il Vangelo vuol metterci sull’avviso che una relazione seria, corretta è essenziale per la vita delle donne e degli uomini. Non è possibile nessuna esistenza senza l’altro! Stiamo sperimentando quanto sia difficile stare lontani, non potersi stringere la mano o abbracciarsi in questo periodo in cui in virus è ancora presente. Il problema, però, sorge quando nascono disaccordi, incomprensioni, liti… Non è facile nemmeno per un discepolo di Gesù in una società come la nostra, dove ha grande importanza la competizione, essere custode degli altri.
Il tema del Vangelo di oggi sta tutto in questo sottolineare che chi ti è vicino, chi incontri per strada, chi prega con te è un tuo fratello, ma anche chi discute o magari «pecca contro di te» non è il nemico da vincere, ma il fratello da perdonare. «Se tuo fratello commette una colpa, tu va e ammoniscilo», inventa qualche cosa per poterti avvicinare a lui. Forse questo modo di agire era abbastanza semplice per la comunità ristretta di Matteo: dove ci sono gruppi ristretti è senz’altro più facile rimediare se qualcosa non va, si sente il bisogno di parlare apertamente; franchezza e chiarezza reciproche sono necessarie se si vuole che un rapporto perduri.
La domanda che rischia però di paralizzarci è: chi mi autorizza a intervenire nella vita di un altro? Non può essere la convinzione per la quale credo di essere nel giusto, di avere ragione, e neanche la certezza di avere qualcosa di importante da offrire. Ermes Ronchi risponde che c’è una sola cosa che mi permette di compiere questo passo: la convinzione che vado a incontrare un fratello. «Ciò che ci autorizza non è la verità che crediamo di possedere, ma la fraternità che tentiamo di vivere».
Di fronte a fatti poco edificanti, a eventi di corruzione, di falsificazione di prove, e cioè quando ci si trova davanti a situazioni moralmente riprovevoli e che offendono la dignità delle persone, è lecito tacere? Non è forse opportuno intervenire? E’ meglio ignorare il male sotto un facile buonismo, mettendo avanti qualche scusante, o parlare? Ancora: se questo male lo si vede giungere in anticipo, così come le sentinelle vedono il pericolo ancora lontano, cosa fare? Nelle letture di oggi non c’è un invito alla delazione, ma ad avere a cuore il bene del fratello e della comunità. L’essere indifferenti ci fa diventare corresponsabili e aumenta il disinteresse reciproco.
Per evitare questa deriva l’invito del Vangelo si allarga ad altre questioni riguardanti la comunità: il dovere ad esempio di pagare le tasse, i cui effetti sono collettivi, l’interesse per il bene comune, che porta ad essere attenti e a rispettare le cose pubbliche, il problema ambientale, che chiede di evitare quei modi di vivere che porterebbero a un più alto grado di inquinamento, il rispetto di alcune «regole sanitarie» per tutelare la salute di tutti. Qui la fraternità diventa concreta! A me piace vedere che si può realizzare qui la parola di Gesù: «Ciò che legherete sulla terra… ciò che scioglierete sulla terra, sarà legato o sciolto anche nel cielo» (cfr. Mt 18,18), che significa: ciò che avrete riunito attorno a voi, le persone, gli affetti, le speranze, il rispetto per l’ambiente in cui uomini e donne vivono, lo ritroverete nel cielo. L’uomo vivente, la vita in pienezza sulla terra è gloria di Dio.
Nella mia comunità si costruiscono rapporti responsabili con tutti? Sono capace di correggere gli errori che qualcuno compie senza pretendere di avere la verità o di essere migliore? Mi sforzo di rispettare quelle regole che garantiscono il bene di tutti?
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