Dopo alcuni rinvii la Bolivia va al voto il 6 settembre (anche se resta l’interrogativo se esse siano effettivamente realizzabili, dato che ad agosto il contagio del Covid-19 ha continuato a salire nel Paese). Un appuntamento importante dopo il golpe che ha estromesso Evo Morales, oggi costretto all’esilio in Argentina e personalmente ormai fuori dai giochi politici del paese andino. Lui fuori, ma il suo movimento il Mas (Movimiento al socialismo) dentro più che mai nell’arena politica, rappresentando grandi masse escluse e senza voce. Presenta Luis Arce, fortemente voluto dallo stesso Morales (deus ex machina delle scelte che contano) che l’ha preferito all’idolo delle comunità indigene aymara David Choquehuanca, che gli indigeni hanno tentato fino all’ultimo di imporre come il proprio candidato naturale e che dovrà accontentarsi della vicepresidenza. Un dissidio che tuttavia non incrina un fronte ampio che si propone di tornare a governare.
Luis Arce era stato ministro dell’Economia, il vero artefice del “miracolo economico” del Mas che attraverso politiche economiche redistributive ha fatto della Bolivia uno Stato un po’ meno diseguale e un po’ più giusto. Perché – occorre avere chiara la posta in gioco – gli anni di Evo Morales, accanto ad errori e cocciutaggini, rivalità intestine e inutili arrivismi, hanno cambiato in meglio il paese andino. Le sacche di povertà estrema si sono ridimensionate e soprattutto gli indios, forse per la prima volta nella loro storia millenaria, si sono sentiti protagonisti, hanno visto migliorate le loro condizioni materiali di vita e si sono sentiti alla pari, per nulla inferiori a nessuno (un salto culturale incantevole e non privo di asperità).
Tutto ciò a Evo Morales bisogna riconoscerlo e non a caso il golpe di alcuni mesi fa è stato il tentativo dei più ricchi (pochi, ma potenti) di bloccare una via autonoma e specificatamente andina ad un modello sociale più equo.
Semmai Morales è stato irretito in una serie di contraddizioni che lui stesso (e la sua classe dirigente a livello centro e a livello locale) non ha saputo dirimere con la dovuta oculatezza e perspicacia come ad esempio la proposta del Buen vivir (armonia uomo-natura, rispetto per le culture originarie, ecc.) e quella marcatamente “estrattivista” (le miniere della Bolivia continuano a svelare riserve impensabili di materie prime che fanno gola a troppi segugi del profitto purchessia).
Sul terreno della competizione elettorale in atto la coppia Arce-Choquehuanca è in grado di assicurare l’alleanza democratica tra classi medie urbane impoverite e il voto indigeno, indispensabile visto il risveglio che hanno manifestato gli indios negli ultimi anni e le conquiste che si sono assicurati e a cui certo non vogliono rinunciare.
Nel campo avverso si presenta l’attuale autoproclamata presidente ad interim Jeanine Añez, che fino all’altro ieri aveva proclamato di rappresentare la terzietà delle istituzioni (era presidente della Camera) e mai sarebbe scesa nell’agone politico! E soprattutto il pericoloso e spregiudicato Luis Fernando Camacho, fascista dichiarato, rappresentante delle forze più retrive che specie nella parte orientale raccoglie consensi e favori nelle classi agiate dei proprietari terrieri facendo suo lo slogan marcatamente nazionalista e anti-indios “Dio, Patria, Popolo”.
Il Mas è favorito, ma dovrà dimostrare unità e umiltà sapendo coagulare gli strati sociali più svantaggiati che chiedono che non si torni indietro rispetto ai cambiamenti già fatti nel segno della democrazia sostanziale. Continuare a garantire un minimo di welfare; la sanità che assume contorni decenti di risposta alle malattie endemiche; salari dignitosi per chi fatica per 12 ore e più al giorno nelle miniere e nelle piantagioni.
Sono appena usciti da un sistema vessatorio di tipo feudale e non vogliono ripiombarci dentro. Un incubo. Proprio no.
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