Domenica 16 agosto – Domenica XX anno A
Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28
Il razzismo presente ormai in vari stati del mondo, l’intolleranza nei confronti delle diversità culturali, personali e religiose, le forme di autodifesa che sconfinano nel più gretto e prepotente egoismo, lo stesso perbenismo di molti credenti, che sotto il paravento di supposti valori cristiani combattono le altre forme di pensiero e di credenza, rendono particolarmente significativo il racconto del miracolo compiuto da Gesù in terra pagana. Lo sfondo è la zona di Tiro e Sidone, nell’attuale Libano; protagonista è una donna cananea, un’indigena dell’area siro-fenicia. «Non c’è più giudeo, né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo Gesù» (Gal. 3,28). Questa è un’affermazione fondamentale di Paolo, ma non condivisa subito da tutti. Oggi più che mai rimane un traguardo verso cui camminare. Gesù, stanco della ristrettezza mentale e della chiusura religiosa degli scribi e dei farisei, dopo essersi scontrato duramente con il loro modo di ragionare, si diresse verso un territorio pagano. Egli non ce la fa più in questo clima di chiusura, dove ogni sua parola viene misurata con una logica sbagliata, ogni suo gesto considerato in modo errato, dove la tradizione è divenuta ormai un’armatura soffocante, mentre Lui è venuto a condurre «le pecore perdute della casa di Israele» fuori da un simile recinto, dove «la religione schiavizza senza mai riuscire ad aprire l’umanità alla sua figliolanza con il Padre». (P.Marko Rupnik) Da un territorio pagano, abitato da stranieri, arriva questa donna che comincia a gridare e in quel grido c’è tutta la speranza che ciò che aveva sentito raccontare di Gesù, possa diventare realtà anche per lei. Ma la prima reazione di Gesù sembra persino disumana: non le rivolse neppure una parola…. E quando le parla è per rivendicare la superiorità del popolo ebreo «non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cagnolini». Cani erano chiamati dagli ebrei i pagani. Gesù qui sembra vivere della cultura ebraica, nella quale è stato educato. Sembra prigioniero del mondo dove è cresciuto. E se anche fosse così non deve affatto scandalizzare. Gesù sperimenta i limiti di ciascun uomo, è condizionato dal modo di pensare del suo ambiente. Ma poi cresce, con il tempo e l’esperienza, nella fede e nella conoscenza. Alla risposta di Gesù la donna non si arrende. Dimostra tutto il suo coraggio. Ella riconosce che Israele è il primo popolo chiamato alla salvezza, ma nel contempo afferma che Dio non può essere chiuso dentro un popolo: deve essere il Dio di tutti! Gesù ascolta ed è affascinato da questa donna per di più pagana. Ed esclamerà: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga come tu desideri». Gesù si meraviglia della fede della donna: è la fede dei lontani, di chi non è praticante, di chi non ha diritti. E’ la stessa fede che brilla nel centurione anch’egli pagano. Per entrambi diventa salvezza. Ciò che chiedevano si realizza. Nel gesto di Gesù emerge chiaramente che la salvezza non ha confini di alcun genere, ma passa attraverso la coscienza di ogni uomo, la sua libertà e la sua fede. La liturgia di questa domenica «è un rinnovato appello indirizzato alla Chiesa perché sia capace di vincere la tentazione dell’autodifesa, della grettezza, del comodo rinchiudersi in un orizzonte quieto e sereno, fatto di voci note». (G. Ravasi) Alla donna che invocava aiuto Cristo ha risposto col suo gesto pieno di misericordia e di salvezza; agli stranieri, ai diversi e ai lontani che vivono troppo spesso il disprezzo e il pregiudizio la Chiesa offra ospitalità, accoglienza e amore.
Mi rendo conto che Dio compie cose grandi (positive) anche in mezzo a popoli di altre culture e religioni? Le nostre comunità sono capaci di accogliere persone diverse da noi o, come i discepoli di questo brano evangelico, vogliono «mandarle via»?
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