La rivelazione del virus

L’immagine di copertina della lettera alla comunità del vescovo Tisi

La fotografia che il nostro Arcivescovo ha scelto come copertina della sua Lettera alla comunità è un’icona straordinariamente potente. Ritrae il gesto di tenerezza con cui un’infermiera consente ad una paziente in terapia intensiva di salutare i familiari tramite una videochiamata.

Anche i dettagli cromatici sono da contemplare: il grigio dei capelli della generazione più colpita dal Covid, il nero delle sopracciglia vigili e premurose, il verdemare delle mascherine a reciproca difesa. Sullo sfondo, il groviglio di una tecnologia raffinatissima ma non miracolosa; in primo piano le mani che si cercano, a dare e ricevere affetto.

Un’immagine realistica, non più metaforica come quella delle precedenti Lettere di don Lauro (la goccia, le mani in pasta, il giglio, la croce di legno), per fotografare la straordinarietà epocale dei mesi trascorsi e forse anche il lascito ideale racchiuso nel cancelletto (hashtag) della frase chiave: #noisiamovulnerabili. Anche questo titolo suona straordinario per un documento pastorale, ma fissa il tema cardine della sua riflessione, offrendo aperture in chiave universale, pastorale e pedagogica: “Abbiamo avuto l’ennesima conferma che siamo inesorabilmente vulnerabili e non possiamo bastare a noi stessi: siamo sorretti da chi è venuto prima di noi, ma al contempo siamo ciò che seminiamo. A fare la differenza è la cura delle radici”.

Non merita fare la sintesi delle molteplici evidenze che l’Arcivescovo ha distillato in questo testo, attingendo alle omelie pronunciate – spesso con voce segnata dal dolore – durante le Messe domenicali in Duomo. È come se con questa Lettera don Lauro ci aiutasse a sostare ancora su quelle ore di contagi in terrificante ascesa, di camion militari carichi di bare, ma anche di gesti eroici e di “risposte creative” suscitate dalla fiducia cristiana. È quasi un tascabile instant book, un diario forse ancora incompiuto, consegnato ai lettori “per non disperdere troppo in fretta quel bagaglio di sofferenza”, cedendo al rischio della smemoratezza. E anche per stare vicini a quelle comunità ferite dalla perdita dei propri figli: dopo Pergine, Campitello di Fassa, Vermiglio, Condino, il convento dei Cappucini (vedi pag.14) e Lavis (vedi pag. 22), l’Arcivescovo ha previsto altre visite fino a fine luglio.

Ora che si torna a dialogare in presenza, seppure a distanza, l’Arcivescovo raccomanda un “nuovo streaming ecclesiale” intriso di “contenuti esistenziali” per essere nel concreto quella “Chiesa ospedale da campo”, auspicata da papa Francesco. “Abbiamo però bisogno – nota l’Arcivescovo – di scelte concrete: apriamolo davvero questo ospedale, ma non solo per soccorrervi il disagio psicologico, sociale, economico e spirituale, ma soprattutto trasformando le nostre comunità cristiane, grazie allo Spirito Santo, in laboratori di dialogo e di ricerca di senso, attorno alla persona di Gesù di Nazareth. Un ospedale che non solo cura, ma sa fare opera di prevenzione”.

Come nella sua prima Lettera, don Lauro va nella Galilea del Trentino, punta al dialogo con chi sta ancora alla larga dalle chiese. Presenta l’umanità di Gesù, affida la sua parola ai “cercatori”, magari a chi in questi mesi si è sentito interpretato e accompagnato. O a chi condivide la critica “ad un modello di sviluppo fondato sulla ricerca del profitto e dell’efficienza a qualunque costo”, nell’illusione di “poter tenere il tempo sotto controllo”.

Una Lettera ispirata all’Arcivescovo dalla Parola e dai bollettini sanitari, ma anche da altri testimoni come Ezio Bosso e dai videodibattiti diocesani “Sospesi”. E poi dagli amici infermieri e medici che lo portano a segnalare i rischi di un modello sanitario troppo aziendalista. O dagli studenti di un Liceo cittadino (quelli del “Da Vinci” presentati da Vita Trentina) che gli offrono un decalogo formidabile del “prendersi cura”, da se stessi al mondo. E infine dai bambini e dai ragazzi privati delle lezioni scolastiche e di quella relazione educativa che coltiva i germogli delicati: “Un ospedale, una casa di riposo valgono quanto una scuola”, chiosa Tisi.

Questo piccolo e intenso testo del nostro pastore non vuole aggiungersi ai tanti libri in cui pensatori di varie scuole hanno filosofeggiato sulla minaccia del Covid. Ne condivide implicitamente però il riconoscimento che questo minuscolo e silenzioso virus ha avuto una “capacità di rivelare” tanti aspetti del nostro vivere e del nostro credere. Un grazie al successore di Vigilio che ci aiuta a cogliere alcune di queste “rivelazioni”, doni dello Spirito che soffia dove e quando vuole.

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